di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

È proprio lui, Enrico Letta, il neosegretario del Pd, l’aspirante guastatore. Perché, da quando è arrivato a Roma da quel di Parigi, non passa settimana senza che si inventi qualcosa pur di far scoppiare una mina politica nel governo. Forse per accreditarsi come l’uomo giusto al posto giusto all’interno del suo partito e della coalizione di riferimento, in vista delle amministrative, cercando di togliersi di dosso l’immagine un po’ troppo compassata e dicendo “cose di sinistra”. Oppure nel tentativo di inasprire i rapporti all’interno della maggioranza e convincere Salvini ad abbandonare il progetto di unità nazionale voluto da Mattarella, per avere finalmente anche qui da noi l’esecutivo dei sogni (suoi, non degli italiani). Quel modello Ursula, esteso fino ai moderati, che escluda l’avversario principale, la Lega, per governare senza l’imbarazzo di vedere i propri ministri seduti al fianco dei vituperati sovranisti. Magari trasformando il governo di emergenza che abbiamo oggi in una maggioranza più piccola, ma politica, gestendo il Paese – sempre naturalmente senza passare per le urne – fino al 2023. Una volta la felpa di Open Arms, indossata poco prima di un’udienza del processo al leader del carroccio che lo vede contrapposto all’Ong spagnola. Un’altra lo Ius Soli. Un’altra volta ancora il Ddl Zan. Infine, la proposta di aumentare la tassa di successione, proprio ora, poi, che, purtroppo, tanti anziani sono deceduti a causa del Covid, per ripartire l’incasso distribuendolo ai giovani residenti in Italia con Isee familiare sufficientemente basso. Per carità, tutte idee, tutte bandiere perfettamente in linea con il progetto per il Paese della solita sinistra, ma che sarebbero, in caso, da inserire nell’agenda di un governo politico dem, formato dopo una, eventuale, vittoria alle elezioni. Non certo priorità dell’attuale esecutivo Draghi, trasversale e chiamato ad occuparsi dell’emergenza sanitaria ed economica, portare in salvo il Paese con il contributo di tutti e poi, a crisi superata, lasciare il posto al consueto confronto democratico fra centrodestra e centrosinistra. Approfittare della situazione per far passare al vaglio di un Parlamento scollegato numericamente dalla volontà degli elettori proposte che oggi, di fatto, tra la popolazione sono minoritarie, sarebbe una forzatura quanto meno fuori luogo. Per fortuna lo stesso Draghi, evidentemente restio ad interpretare il ruolo del “Conte tre”, affezionato alla propria autorevolezza super partes, che forse potrebbe anche portarlo al Quirinale, e consapevole del fatto che senza la Lega – volenti o nolenti – il governo di unità nazionale perderebbe di senso e di diritto e rischierebbe di cadere, ha richiamato all’ordine lo scalpitante guastatore, invitandolo cortesemente a non oltrepassare il limite, almeno per un po’.