L’analisi dello Svimez. In Italia risulta fragile il 48% delle imprese. Si sale al 55% al Sud

Sono oltre 73mila le imprese italiane che, a causa della pandemia di coronavirus e delle misure restrittive applicate per contenere i contagi, rischiano di uscire dal mercato e di queste circa ventimila sono aziende del Mezzogiorno e 17.500 del Centro Italia. È quanto emerge dalle ultime previsioni pubblicate dallo Svimez in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne e con Unioncamere. Delle imprese a rischio, spiega l’indagine, una quasi doppia riguarda le imprese dei servizi (17%), rispetto alla manifattura (9%). «Sono – spiegano gli esperti che hanno redatto il report – quelle che hanno forti difficoltà a resisterealla selezione operata dal Covid come risultato di una fragilità strutturale dovuta ad assenza di innovazione (di prodotto, processo, organizzativa, marketing), di digitalizzazione e di export, e di una previsione di performance economica negativa nel 2021». Secondo l’indagine il 48% delle imprese italiane non è innovativa, non è digitalizzata e non è esportatrice, risultando quindi più fragile rispetto alla concorrenza. Una quota che al Sud sale al 55%, al 50% al Centro, contro il 46% e il 41% rispettivamente del Nord-Ovest e del Nord-Est. L’incidenza è ancor più intensa nel settore dei servizi, dove i deficit di innovazione e digitalizzazione fanno sì che le imprese “fragili” superino il 50% a livello nazionale, avvicinandosi al 60% nel Mezzogiorno. Per quanto riguarda invece il settore manifatturiero, risultano non essere innovative, industrializzate ed esportatrici il 31% delle aziende italiane, con una quota che sale al 39% nel Mezzogiorno.