di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

In questi giorni stiamo assistendo ad eventi di una certa gravità ed anche piuttosto preoccupanti nel teatro di quello che fu un tempo il “mare nostrum”. Da un lato i massicci sbarchi di migranti sulle nostre coste, dall’altro le continue aggressioni nei confronti dei pescherecci italiani. Cosa sta accadendo nel Mediterraneo? Difficile non vedere la longa manus di Ankara dietro gli attacchi alle nostre navi da pesca, non solo in quello più recente nelle acque internazionali fra Cipro e Siria, nel quale la decina di imbarcazioni che hanno speronato la nostra battevano bandiera turca, ma anche nell’altro, avvenuto lo scorso 3 maggio, quando la guardia costiera libica ha esploso dei “colpi di avvertimento” contro le nostre imbarcazioni che si trovavano a 35 miglia nautiche al largo di Misurata, provocando anche il ferimento del comandante della “Aliseo”, Giuseppe Giacalone. Una piccola guerra in corso per il controllo delle zone più pescose, ma anche per la rivendicazione delle acque internazionali e per la demarcazione di un’influenza sempre più profonda della Turchia nel Nord Africa e nel Vicino Oriente. Parallelamente continuano gli approdi verso il nostro Paese, coi barconi provenienti dalla Libia e dalla Tunisia, sfuggiti alle autorità locali o lasciati fuggire. Ed anche sulla questione migratoria l’ombra turca resta insistente. L’Italia in questo contesto sembra sotto attacco. Certamente vittima di se stessa e della politica estera tentennante del ministro Di Maio, ma anche degli effetti di una sortita, quella del premier Draghi verso Erdogan “il dittatore”, capace di inasprire i rapporti senza però provocare reazioni conseguenti utili ai nostri interessi. Un’Italia, come sempre più spesso accade, isolata, nonostante il suo essere parte di organizzazioni internazionali importanti e strutturate, in primis dell’Unione europea. La difesa della presidente della Commissione Von der Leyen, all’origine dei recenti attriti con Ankara, non ci ha fruttato altrettanta solidarietà – oltre alle parole di circostanza – da parte Europea. Né in merito alla questione pesca e nemmeno sul fronte delle migrazioni. Eppure il problema non è e non può essere solo nostro. Far rispettare la “legge del mare”, cui spesso – e a sproposito – ci si appella, o per meglio dire il diritto internazionale, nel Mediterraneo dovrebbe essere interesse di tutti, dei Paesi che si affacciano sulle sue acque come dell’intera comunità internazionale. Impedendo il traffico di esseri umani, salvando concretamente vite ed evitando flussi indiscriminati, contrastando mire di illegittima espansione economica e politica, ripristinando sicurezza e legalità, per tutti. L’Italia certo potrebbe fare di più, ma, comunque, non dovrebbe essere lasciata sola a risolvere una situazione così grave ed in costante peggioramento. Per non far sprofondare il Mediterraneo nel caos.