di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

In occasione del Primo Maggio, al termine del nostro tour sindacale che ha attraversato tutta Italia, abbiamo presentato il nuovo Rapporto Ugl-Censis sulla situazione del mondo del lavoro nel nostro Paese. Lo studio, sul lavoro che cambia e le nuove povertà, ha certificato un dato preoccupante: l’impoverimento crescente, non solo delle persone prive di un’occupazione, ma anche di tanti nostri concittadini che, invece, un impiego ce l’hanno, purtroppo, però, senza ricavarne una retribuzione sufficiente. Tra i nuovi poveri ci sono, quindi, i cosiddetti working poors, coloro che, pur avendo un lavoro, hanno un basso, bassissimo reddito. Lavorare non è più un sicuro antidoto contro la povertà, non è un mezzo di per sé sufficiente, come invece dovrebbe essere, a condurre una vita dignitosa. In Italia i lavoratori poveri sono arrivati ad ammontare a un milione e mezzo di persone. In dieci anni gli appartenenti a questa “categoria” sono aumentati dell’84%, 690mila unità in termini assoluti, tra i quali spiccano gli autonomi, le partite Iva. Se un tempo la fascia dei lavoratori meno abbienti era da ricercarsi soprattutto nel mondo del lavoro dipendente, ora le cose sono cambiate con un aumento vertiginoso di lavoratori in proprio poveri, cresciuti in dieci anni del 230%, tra economia di sussistenza, lavoro nero e gig economy, cui si aggiungono gli operai poveri, aumentati del 75%. A peggiorare una tendenza già in atto, è arrivata poi la pandemia. E così, lo studio, che si chiede anche cosa attende i lavoratori oltre il Covid-19, ha attestato l’ulteriore peggioramento della situazione determinato dal virus e dalle conseguenti limitazioni alle attività produttive e sociali. Tra l’Italia del pre-Covid e quella attuale, prendendo in considerazione l’arco temporale che va da febbraio 2020 a febbraio 2021, c’è una differenza significativa in termini di occupazione, con 945mila posti di lavoro in meno. Una drastica riduzione che ha interessato sia il lavoro dipendente che quello autonomo. Per quanto riguarda gli working poors, tra il 2019 ed il 2020, la quota di persone occupate con redditi insufficienti è aumentata del 22%, pari a 269mila unità, specie fra i lavoratori in proprio, categoria nella quale il lavoro povero è cresciuto del 48%, e gli operai, con un aumento del 22%. Questi dati, e gli altri contenuti nel rapporto, dovrebbero farci riflettere molto sulla situazione del mondo produttivo ed occupazionale in Italia, specie in occasione della Festa del Lavoro. Una festa che è stata, invece, in alcuni casi, senza scendere in polemiche, non adeguatamente focalizzata sulle reali problematiche dei lavoratori, ma su temi decisamente marginali rispetto alla gravissima crisi che stiamo vivendo. Gli italiani sono preoccupati: non solo è difficile per molti affrontare la crisi, mantenere la propria occupazione o trovare un lavoro, ma sta diventando anche sempre più complicato avere un’occupazione adeguata e remunerativa, in grado di garantire un’esistenza tranquilla. C’è bisogno di intervenire e presto, con politiche industriali e fiscali che ridiano ossigeno a un’economia in profonda difficoltà, investendo sulla ricerca e sulla formazione di manodopera qualificata, per porre rimedio ad una polarizzazione fra l’occupazione strutturata e ben retribuita e la crescente mole di impieghi precari e sotto-retribuiti che sta minando la dignità del lavoro nel nostro Paese.