L’effetto della pandemia. Nel 2020 la quota di valore aggiunto del settore si è ridotta del 9,6%

Nel 2020 la quota di valore aggiunto detenuta dal comparto dei servizi è scesa del 9,6% rispetto al 2019, registrando il primo calo degli ultimi 25 anni. È quanto spiega la Confcommercio nell’analisi “La prima grande crisi del terziario di mercato”, secondo cui la pandemia di coronavirus «ha colpito in modo trasversale l’intera società, sconvolgendo la vita quotidiana e colpendo in modo più o meno pesante tutti i settori produttivi ma in particolare quello che fino al febbraio del 2020 era diventato il fiore all’occhiello della nostra economia e che offriva il contributo più “pesante” al Pil e all’occupazione», appunto il terziario di mercato, ovvero il quello in cui rientrano il commercio, il turismo, i servizi per l’alloggio e la ristorazione, i trasporti, le attività artistiche, l’intrattenimento e il divertimento. Solo la filiera turistica, spiega ancora l’associazione di categoria, ha perso il 40,1%, mentre il comparto relativo alle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento ha perso il 27%. A ciò si aggiunge l’impatto che la crisi sanitaria ha avuto sui consumi: considerando l’abbigliamento e le calzature, i trasporti, la ricreazione, gli spettacoli e la cultura e gli alberghi e i pubblici esercizi, sono andati persi 107 miliardi di euro, l’83% dei consumi totali bruciati nel corso dello scorso anno (pari a 130 miliardi). «Per la prima volta nella storia economica del Paese il terziario di mercato subisce una flessione drammaticamente pesante», ha commentato il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, sottolineando che «occorre che il Piano Nazionale di ripresa e resilienza dedichi maggiori attenzione e risorse al terziario perché senza queste imprese non c’è ricostruzione né rilancio».