di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

A fine anno scadrà Quota 100, misura introdotta dall’allora governo giallo-verde, molto voluta dalla Lega e dall’attuale sottosegretario all’Economia Durigon. L’obiettivo di quota 100 è stato quello di cambiare passo rispetto alla legge Fornero, che prevedeva un’età pensionabile crescente, arrivata a 67 anni, ignorando le difficoltà dei lavoratori più anziani e il loro diritto a ritirarsi dal lavoro e bloccando il turn-over generazionale, a danno dei giovani in cerca di lavoro e anche delle aziende, impossibilitate a un ricambio fra i propri dipendenti. Ora la misura, che era stata pensata come sperimentale e con termine al 31 dicembre del 2021, arriverà alla sua naturale conclusione. E sarà necessario decidere il da farsi, se rinnovarla, tornare alla Fornero o trovare un compromesso fra queste due opzioni. Ripiombare nella disciplina precedente a Quota 100 significherebbe dover attendere il compimento dei 67 anni per poter accedere alla pensione di vecchiaia, oppure, per la pensione di anzianità, dover contare su 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne. Requisiti già penalizzanti prima della crisi Covid e ora ancor di più inadatti alla situazione delle imprese e del lavoro post-pandemia. Per ora, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, l’argomento non è stato affrontato, eppure la questione pensioni è parte integrante di ogni possibile progetto per la ripartenza del Paese: sappiamo bene quale sia la situazione attuale, conosciamo le difficoltà di molte imprese a resistere ai colpi inferti dalla crisi economica generata dal Covid, conosciamo anche la situazione occupazionale italiana, le tantissime persone escluse dal mondo del lavoro, fra le quali soprattutto i giovani, le nuove generazioni. Se già prima della pandemia era necessario consentire la maggiore flessibilità in uscita possibile, ora è inevitabile: non avrebbe alcun senso costringere al lavoro le persone in là con gli anni e impedire l’accesso dei giovani, bloccare il flusso in uscita di lavoratori. Mantenere una certa dose di flessibilità, infatti, vuol dire aiutare le imprese in difficoltà nel superare questo momento così particolare senza dover procedere a una riduzione della forza lavoro, significa innescare un processo virtuoso di nuove assunzioni e garantire ai lavoratori più anziani, se lo ritengono opportuno e conveniente, l’accesso alla propria meritata pensione, specie ora che le persone over 60 devono fare particolare attenzione al virus. Sciogliere il nodo pensioni nel segno della flessibilità in uscita, soprattutto adesso che anche i rigidi parametri europei sono dovuti necessariamente venir meno a fronte della tempesta economico-sociale generata dal Covid, significa avere una visione lungimirante a beneficio dei lavoratori, delle imprese, dell’intero Paese.