di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Alla fine il nuovo decreto Covid è arrivato nella serata di ieri, ma le decisioni prese dal presidente del Consiglio e dal governo sono risultate, nel complesso, piuttosto deludenti, tanto che all’interno della maggioranza c’è stata, per la prima volta dall’insediamento del premier Draghi, una frattura tangibile fra le componenti di centrodestra e centrosinistra. Il cambio di passo, necessario, rispetto al modus operandi dell’esecutivo precedente non è sembrato deciso, anzi, in alcune parti del provvedimento si nota quella disparità di trattamento fra attività che a suo tempo era stata una delle maggiori problematiche nell’operato del “Conte due”. Se, ad esempio, si è scelto di puntare molto sulla scuola, consentendo ampie riaperture anche per le superiori ed anche in zona rossa, a un mese dal termine dell’anno scolastico, se riprenderà la circolazione fra Regioni, anche rosse e arancioni, previo pass che garantisca la negatività al Covid delle persone intenzionate valicare i “confini” regionali, molte altre attività sociali ed economiche saranno ancora fortemente limitate. Una scelta discutibile e sganciata da basi scientifiche sull’effettivo nesso tra azioni vietate o consentite e contagi. A pagarne le maggiori spese saranno tutte quelle imprese ancora fortemente penalizzate. Con le inevitabili ripercussioni economiche, sociali e occupazionali. La scelta di permettere di svolgere alcune attività esclusivamente all’aperto nel mese di maggio, non esattamente di clima estivo, ad esempio, o quella di mantenere il coprifuoco alle dieci di sera fino a data da destinarsi, nella peggiore delle ipotesi fino al 31 luglio, con buona pace delle migliaia di esercizi che operano nelle fasce orarie serali e notturne, non lasciano ben sperare. Insomma, nel complesso la data della reale riapertura resta piuttosto lontana – un lato positivo è aver impostato, comunque, qualche prospettiva certa per il futuro – e solo da giugno molte aziende riprenderanno a svolgere in modo quasi normale la propria attività, altre addirittura solo dal prossimo luglio. Tutto questo nonostante il fatto che, numeri sui contagi alla mano, dalle chiusure disposte a marzo non siano derivati sostanziali miglioramenti dal punto di vista della diffusione del virus, del numero di positivi e dei deceduti, segno che i problemi sono altrove, in altri contesti non ancora adeguatamente limitati, col vulnus ormai palese del settore trasporti e non solo, nelle lentezze della campagna vaccinale. La crisi economica e sociale è ormai troppo profonda e grave per tentare di affrontarla in modo parziale, tentennante e disomogeneo. Questo decreto è stato nel complesso un’occasione persa, si sarebbe potuto e dovuto fare di più per venire incontro alle esigenze di una grande parte della nostra popolazione, ormai stremata da oltre un anno di limitazioni lavorative e sociali.