di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Il progetto calcistico della Super Lega, appena nato, è già naufragato. L’idea di una competizione chiusa, con squadre scelte non sulla base di meriti conquistati sul campo, senza legami con l’architettura del mondo dello sport, dalla base composta dalle piccole squadre dilettantistiche fino ai vertici rappresentati dai club delle serie maggiori, di un torneo, insomma, autoreferenziale, non è piaciuta. Al punto che le squadre della “super cricca” hanno fatto clamorosamente marcia indietro, con tanto di scuse. A partire da quelle inglesi, che hanno dato avvio ad una piccola Brexit calcistica, e anche su questo si potrebbe riflettere, poi seguita anche dai club di altre nazioni, costringendo alla resa gli ideatori del progetto. Sull’onda di un’indignazione montante, tanto fra i semplici tifosi quanto fra sportivi, giornalisti, commentatori e persino capi di governo ed esponenti politici di primo piano. Ma, al di là del mondo del calcio, pure sport popolarissimo in Europa e nel mondo e anche settore significativo dal punto di vista economico e occupazionale, questa vicenda richiama qualcosa di più vasto, sintetizza alcune tendenze in atto, dimostrando che – forse – tornare indietro rispetto ad alcune estremizzazioni è ancora possibile. In sintesi, la Super Lega potrebbe essere considerata un’idea fondata su una visione per cui nell’organizzazione di un’attività umana – in questo caso il calcio – predominano economia e finanza, a tirare i fili e stabilire le regole, e nella quale non solo il pubblico è lontano, atomizzato, semplice utente senza voce in capitolo, ma anche la società più in generale, con le sue regole democratiche, rappresentata nello specifico dalle federazioni nazionali o internazionali come l’europea Uefa, assume un ruolo marginalissimo. Sfruttando le criticità, le intemperanze di alcuni tifosi, le problematiche delle varie federazioni, per gettare via, assieme all’acqua sporca, anche il bambino. Una tendenza già presente e ora accelerata dalla crisi Covid, dagli stadi vuoti per ragioni sanitarie, da un calcio ora più che mai esclusivamente televisivo. Si potrebbe applicare questa formula, in senso lato, anche ad altri settori, al commercio di Amazon, alla ristorazione di Glovo, all’intrattenimento di Netflix e così via. Il modello Super Lega, con uno sguardo più ampio, che vada oltre la singola vicenda, è quello che si va diffondendo. Un’economia concentrata in pochissime mani che a livello globale si impongono, lasciando agli altri il ruolo di spettatori, consumatori passivi, impedendo di fatto la crescita, sportiva nel caso specifico, imprenditoriale negli altri, falsando la libera concorrenza, bloccando l’ascensore sociale. Stavolta sembrerebbe, però, che il disegno non sia riuscito a tradursi in realtà. A causa della grande passione generata dal calcio, della presenza di uno spirito comunitario ancora vivissimo, nonostante un anno e più di stop alla partecipazione popolare alle partite. Una passione, uno spirito comunitario, una partecipazione popolare che al momento è difficile riscontrare in altri settori e nella politica in generale e di cui, invece, avremmo estremo bisogno.