di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Molto interessante il dibattito, tra gli addetti ai lavori, che il giornalista de il Corriere della Sera, Dario Di Vico, ha segnalato e che è conseguito dallo special report settimanale dell’Economist sul futuro del lavoro. Partiamo dalla buona notizia e cioè che la correlazione più robot meno lavoro è stata smentita dai fatti. In particolare, secondo l’Economist, non è accaduto quanto previsto dallo studio del 2013 dei professori Frey e Osborne, diventato famosissimo, secondo il quale il 47% dei lavori sarebbe di lì a poco sparito perché sostituito dalle macchine. Per l’autorevole settimanale di informazione politica e economica, edito a Londra ma con sedi nelle principali città del Nord America, dell’Europa e dell’Asia, una quota crescente di lavori richiede ancora oggi presenza fisica. Com’è facile immaginare, nella sanità, nella cura delle persone e nell’istruzione. C’è poi un aspetto più umano da considerare e cioè che la gente preferisce ancora avere a che fare con le persone in carne ed ossa, piuttosto che con un robot anche quando chiedono un caffè. Sono e saranno i consumatori, quindi persone, a stabilire ancora di più nell’economia post-Covid e post-vaccini il futuro dei lavori, in particolare di quelli a bassa paga. Qui arriviamo alle note dolenti. Se uno studio dell’Ubs sull’automazione rivela che in Francia, Spagna, Italia e Germania ci sono poche prove dell’interesse delle imprese ad automatizzare tutte le mansioni, è altrettanto vero che stanno aumentando le distanze tra lavoratori della conoscenza e gli altri, tra i buoni lavori che si possono fare anche da casa, quelli essenziali e quelli non essenziali. Un altro grande filone di discussione che è quello relativo al «lavoro ibrido» ovvero metà ufficio, metà casa. A quanto pare i lavoratori americani si stanno orientando su una scelta a metà strada, mentre, secondo le previsioni, le società che opereranno solo da remoto saranno una minoranza. Il coinvolgimento dei dipendenti sarà ancora nella la lista delle priorità del management. È quindi altrettanto vero, come sostiene l’Ugl, che lo scenario economico sarà caratterizzato dalla nascita di nuove professioni e vedrà emergere alcune aree trainanti come la sanità, l’informatica, l’alimentare e tutti i settori interessati dalla transizione digitale ed energetica. Dunque si deve a maggior ragione tornare a ribadire le esortazioni da noi rivolte al Governo Draghi e al ministro del Lavoro, Andrea Orlando: è non solo fondamentale ma strategico puntare su un programma di politiche attive, orientato al medio e lungo periodo, per favorire la formazione e la ricollocazione dei lavoratori, intercettando la richiesta di personale qualificato, e anche dei giovani, da parte delle imprese. Altrettanto indispensabile sarà eliminare le rigidità burocratiche che ostacolano l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, all’interno di un mercato sempre più fluido e dinamico.