di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Le proteste di ieri, con le categorie più colpite dalle restrizioni anti Covid scese in piazza in tutta Italia per manifestare il proprio disagio – ambulanti, ristoratori, baristi, albergatori, titolari di palestre, lavoratori dello spettacolo, commercianti – non possono certo essere considerate un fulmine a ciel sereno. Al di là di qualche episodio, sporadico, di rabbia, non giustificabile e a danno delle incolpevoli forze dell’ordine, le manifestazioni restano più che comprensibili. Stiamo parlando, infatti, di persone rimaste da oltre un anno senza introiti sufficienti non solo a mantenere le proprie attività e a pagare le tasse, ma persino, in alcuni casi, a garantire alla propria famiglia il necessario per tirare avanti. Inutile appellarsi a strumentalizzazioni politiche per ridimensionare la portata di quanto accaduto: possibili, ma irrilevanti rispetto alla gravità e concretezza del problema. Una situazione insostenibile che fa il paio col dato allarmante della perdita di un milione di posti di lavoro nel Paese durante questo anno di pandemia. Tra febbraio 2020 e lo stesso mese del 2021 gli occupati in Italia sono scesi di 945mila unità, arrivando a quota 22 milioni e 197mila, -590mila i dipendenti, fra i quali 372mila i posti a termine non rinnovati, 355mila gli autonomi in meno. La crisi devastante scaturita dall’epidemia da Covid-19 sembra tuttora sottovalutata, con il rischio di vedere incrinata la fiducia popolare anche nei confronti del nuovo governo Draghi, verso il quale gli italiani hanno pure riposto molte speranze. Cosa fare per recuperare questa situazione prima che diventi ingestibile e che provochi ulteriori danni alla tenuta economica e anche alla coesione sociale del Paese? Servono risposte, e in fretta. Risposte concrete, ristori, aiuti sul fronte fiscale e una riforma degli ammortizzatori sociali per sostenere tutti quelli che abbiano perso il lavoro offrendo, contemporaneamente, un vasto programma di politiche attive. Quanto stabilito nel decreto ristori appare più equo rispetto al passato, ma non ancora pienamente sufficiente. Non solo. A oltre un anno dallo scoppio della pandemia, è ormai necessario un cronoprogramma sulle riaperture. Per uscire dall’attuale clima di incertezza, forse ancor più dannoso delle chiusure in sé e per sé. Non sapere quando le cose torneranno, se non normali, quantomeno accettabili in termini lavorativi impedisce alle imprese di pianificare il proprio futuro, con evidenti conseguenze sul fronte occupazionale. La campagna vaccinale è il primo degli strumenti utili a questo scopo: il protocollo per le vaccinazioni in azienda è un importante passo avanti per raggiungere l’obiettivo delle 500mila immunizzazioni quotidiane, una volta ottenute le dosi necessarie dalle case farmaceutiche. Nel frattempo, però, una volta stabilite le norme di distanziamento, bisogna consentire la riaperture alle attività che le rispettano, intervenendo laddove, invece, la sicurezza non è garantita: ovvero essenzialmente negli spazi e sui mezzi di trasporto pubblici.