di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Negli ultimi giorni abbiamo ascoltato, nell’ambito della questione vaccini e non solo, le dichiarazioni sull’Europa del presidente Draghi. Dichiarazioni di buon senso, pragmatiche, ma anche piuttosto assertive. Il primo ministro italiano si è mostrato severo nei confronti delle criticità evidenti del piano vaccinale impostato dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen: «è necessario far rispettare i patti, o la ripresa è a rischio». Altrimenti, «se il coordinamento europeo non funziona, occorrerà fare da soli». Come del resto intende fare anche la Germania di Angela Merkel. Germania con la quale Draghi ha chiarito di non avere un rapporto di subalternità, con la decisione di sospendere precauzionalmente AstraZeneca per qualche giorno, per valutarne ulteriormente rischi e benefici, motivata da ragioni di sicurezza e non certo dalla volontà di imitare i tedeschi. Ed ora Draghi, sempre in merito all’approvvigionamento dei vaccini, sarebbe impegnato nella creazione di un’intesa proprio con la Germania ed anche con la Francia, per ottenere un’accelerazione della campagna vaccinale, facendo pressione sull’Ue. Sul Mes non è stato da meno. L’ex presidente della Bce lo ha liquidato come non prioritario dati i tassi di interesse attuali. Ha poi chiarito che senza un piano puntuale e condiviso con il Parlamento per l’utilizzo dei fondi – da impiegare esclusivamente nella sanità – prendere il Mes significherebbe «buttar via i soldi». Molti commentatori hanno cercato di inquadrare questo atteggiamento nelle categorie, apparentemente inconciliabili, dell’europeismo e del sovranismo. Immaginare come anti-europeo l’uomo del «whatever it takes» sembra francamente impossibile. Ma forse ciò che ad alcuni era sfuggito, negli ultimi mesi segnati da forti contrapposizioni politiche e da una sempre maggiore dose di faziosità e mancanza di dialogo, era proprio il fatto che gli Italiani avessero semplicemente bisogno di un ruolo più incisivo del nostro Paese in Europa, di una maggiore tutela dei nostri interessi nazionali nell’ambito del consesso europeo. Se far rispettare l’Italia in Europa significa essere sovranisti, ci auguriamo che il premier continui su questa strada. Di settori nei quali le cose dovrebbero cambiare, oltre a quelli citati, ce ne sono diversi: la gestione del fenomeno migratorio, impostata dall’Europa su norme ormai obsolete e penalizzanti nei confronti dei Paesi del Mediterraneo, è uno di questi. Staremo a vedere come procederà sulle altre questioni scottanti nel rapporto fra noi e l’Europa il “sovranista” Draghi. Se riuscirà, con l’autorevolezza di cui dispone ed il pragmatismo di cui ha fatto mostra non solo nell’attuale veste di premier, ma lungo tutto il corso della sua prestigiosa carriera, a risolvere i non pochi problemi che hanno guastato negli ultimi anni il legame tra l’Italia e l’Unione.