Ieri, come oggi, l’importanza di sentirsi italiani è decisiva

Quando, il 17 marzo del 1861, Vittorio Emanuele II, dopo l’approvazione del Senato e della Camera dei deputati del Regno di Sardegna, proclamò ufficialmente la nascita del Regno d’Italia, la stessa proclamazione assomiglia molto ad un auspicio più che ad un dato reale. L’unità di Italia, infatti, era ancora in parte da realizzarsi: Veneto, una parte del Friuli Venezia Giulia, Roma, Trento e Trieste sarebbero arrivati soltanto in un secondo momento. Il Veneto e parte del Friuli Venezia Giulia con la Terza guerra d’indipendenza del 1866; Roma con l’ingresso dei bersaglieri a Porta Pia il 20 settembre 1870; le terre irredente soltanto con la Prima guerra mondiale. E sempre, o quasi, grazie all’aiuto diretto o indiretto di altre potenze straniere. Il 17 marzo del 1861 rappresenta comunque un passaggio decisivo che va oltre la semplice dichiarazione di principio. I Savoia, soprattutto grazie all’azione di Camillo Benso conte di Cavour, si accreditano come la casata vincente in quella grande lotteria rappresentata dal nostro Risorgimento. Dopo le alterne fortune sul campo militare, l’accelerazione imposta da Cavour finisce per bloccare sul nascere ogni ipotesi diversa, alimentata in particolare da Giuseppe Garibaldi e la sua spedizione dei Mille. L’alternativa repubblicana possibile, sostenuta in particolare da Giuseppe Mazzini, che pure aveva trovato un primo velleitario sbocco nel corso della prima guerra d’indipendenza con l’esperienza romana, non trova così terreno fertile su cui prosperare.