I quattro personaggi che maggiormente incarnano il nostro Risorgimento sono, con pochi dubbi e senza nulla togliere ai tanti altri che hanno dato un contributo attivo importante, il re Vittorio Emanuele II, Camillo Benso conte di Cavour, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini. Personaggi fra di loro molto diversi, che hanno finito per caratterizzare quell’epoca di passaggio, una ventina di anni in tutto, che ha portato all’unità d’Italia e alla formazione di Roma capitale del regno. Fra i quattro, verosimilmente, nonostante la presenza di piazze e vie a lui dedicate, quello meno conosciuto è il re Vittorio Emanuele II. I libri di scuola lo descrivono spesso come la persona sbagliata al posto giusto, come colui che ha saputo mettere a profitto il lavoro di altri, sia sui campi di battaglia, come Garibaldi, che nelle cancellerie delle potenze europee, come Cavour. Qualche storico arriva a riconoscere al re Vittorio Emanuele II il solo merito di aver portato a compimento quel percorso di apertura avviatosi con lo Statuto albertino. Un re, quindi, con scarso appeal, che ha avuto la fortuna di incontrare nel suo percorso proprio il conte di Cavour, il quale ha saputo essere quello che il cardinale Richelieu fu per Luigi XIII di Francia. Cavour il tessitore che rende possibile l’unificazione del Paese sotto le insegne sabaude, mettendo un freno all’avventura romantica di Giuseppe Garibaldi. L’eroe dei due mondi in camicia rossa combatte a Roma, per la repubblica, ma poi, mentre sta risalendo l’Italia, si trova a doversi inchinare davanti al re a Teano e, successivamente, a rispondere «Obbedisco» al generale Alfonso La Marmora che gli intimava di fermarsi davanti agli austriaci. Infine, Giuseppe Mazzini, almeno sul campo il grande sconfitto del Risorgimento italiano. Sognava la repubblica e si ritrovò suddito dei Savoia; eppure, il messaggio di Mazzini è andato ben oltre quegli anni della seconda metà dell’Ottocento, permeando di sé il sindacalismo nazionale che arriverà dopo.