Avremo un Pass Covid UE per giugno. Ma quanti vaccini? Premettendo il necessario consenso di tutti e 27 i Partner Ue, c’è un altro grande problema da risolvere: la non sufficiente produzione di vaccini è connessa non solo a problemi di export ma anche alla crisi del settore della plastica e dei polimeri

Non per rovinare la festa, ma se continua così in Europa a giugno rischiamo di ritrovarci con un Pass Covid – o patente vaccinale che dir si voglia – del tutto teorico perché molti rischierebbero di non essere stati vaccinati. Ieri con toni trionfali è stata annunciata la presentazione del Pass Covid UE, immaginato per tornare a viaggiare, entro giugno, con vaccino (anche non autorizzato da Ema), test o prova di guarigione. Studiato dalla Commissione UE nella speranza di salvare la libertà di movimento e aiutare economia e turismo, ha però bisogno di un consenso unanime da parte di tutti gli Stati membri. E non sarà semplice. In ogni caso, il certificato sarà gratuito per i cittadini UE e consiste in un QR code da tenere nello smartphone o da stampare su carta, come quelli utilizzati per i biglietti aerei. Ma il Pass, pur encomiabile, non risolve i problemi di fondo nei quali l’Europa e ogni singolo Stato UE si stanno in questi giorni dibattendo. Arrivato il via libera Ema ad Astrazeneca, il punto resta sempre lo stesso: le dosi vaccinali per il Vecchio Continente non sono in numero sufficiente. Un grande problema, anche economico. Coldiretti, ad esempio, ha calcolato che «ogni giorno di ritardo sulle vaccinazioni costa in media all’Italia oltre 350 milioni in mancati consumi con un drammatico effetto a valanga sull’occupazione che si aggiunge alle sofferenze e alle vittime causate dalla pandemia». Ma non c’è solo questo. Secondo il sito di informazione indipendente on line “InsideOver”, testata de Il Giornale, e diretto da Alessandro Sallusti, «la carenza di dosi non è l’unica minaccia al successo del lancio dei vaccini a livello globale». In merito sappiamo che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha ingaggiato un braccio di ferro con Londra per chiedere conto dell’assenza di reciprocità nell’esportazione delle dosi. Esisterebbe però anche un problema produttivo: secondo “InsideOver”, le industrie che producono materiali connessi alla produzione, stoccaggio e somministrazione delle dosi vaccinali non hanno mantenuto lo stesso passo delle aziende farmaceutiche che si sono lanciate subito nella realizzazione dell’antidoto al Covid-19 e del quale tutto il mondo è alla spasmodica ricerca, facendosi concorrenza non sempre leale. Evidente che si tratti di una sfida senza precedenti, ma meno che si sia andata a intersecarsi «con la crisi del settore della plastica e dei polimeri creando una miscela esplosiva. Mentre la domanda di polimeri è cresciuta nella seconda metà del 2020, l’offerta non ha fatto altrettanto. Questo, unito a una carenza di container, ha portato anche a significativi aumenti di prezzo. Inoltre, le condizioni meteorologiche estreme negli Stati Uniti si sono abbattute gravemente sulla catena produttiva, arrivando ad interessare anche il mercato europeo». Insomma, nel terzo millennio il nesso tra industria, salute e sicurezza sembra essere sempre più stringente e sfidante per le economie occidentali.