L’andamento delle cessazioni e delle successive attivazioni permette di evidenziare quanto forte sia il rischio di ritrovarsi nella spirale della disoccupazione di lunga durata. Nonostante il blocco dei licenziamenti e la possibilità di prorogare i contratti a tempo determinato, anche in assenza di causali, fra il 1° febbraio e il 3 maggio del 2020, un milione e 350mila individui hanno perso il lavoro; il 72% di questi, 12 punti percentuali in più rispetto alle medie consolidate, vale a dire 972mila unità era a maggio senza occupazione. Dopo la fine del primo lockdown, circa 467mila persone delle 972mila senza lavoro alla data del 3 maggio hanno ritrovato una occupazione, con una diversa velocità sia per sesso (le donne sono andate molto peggio degli uomini) che per età (i giovani peggio degli ultra 34enni) e settore produttivo (106 giorni medi nella ristorazione). A parziale compensazione, chi ha avuto la fortuna di essere occupato nel periodo compreso fra il 4 maggio e il 30 settembre, ha lavorato in media tre giornate in più rispetto all’anno precedente. Nel caso delle costruzioni, le giornate contrattualizzate sono state nove in più rispetto al 2019. Nel complesso, dunque, fra il 3 maggio e il 30 settembre, i flussi fra uscite e entrate presentano sul versante dell’occupazione una riduzione di quasi dieci punti percentuali ed una crescita vicina agli otto punti nei casi di variazione della condizione occupazionale nel periodo considerato. L’inoccupazione sale a circa il 47% da una media del 42%.