di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Dieci anni di crescita dell’aspettativa di vita, di progressi della medicina e di aumento generale del benessere sono stati spazzati via dall’arrivo del nuovo Coronavirus. Lo ha certificato il rapporto Istat-Bes: se nel 2010 la speranza di vita alla nascita per gli italiani era di 81,7 anni, nel 2019, prima dell’arrivo del Covid, si era attestata a 83,2 anni. Ora, a seguito della pandemia, abbiamo fatto un balzo indietro, tornando all’aspettativa di un decennio fa, e ci vorrà tempo per recuperare quanto perduto a causa del virus. Un altro aspetto della crisi Covid, che si affianca a dati altrettanto negativi su economia, povertà e lavoro. Un dato medio che riguarda l’intera Penisola, anche se, osservando più nel dettaglio, il calo dell’aspettativa di vita riguarda soprattutto il Nord del Paese, area maggiormente colpita dal Covid, meno il Centro e il Mezzogiorno. Il rapporto Istat-Bes ha anche acclarato il fatto che negli ultimi anni si è verificata una significativa diminuzione dei posti letto per abitanti, -1,8%, con un lieve aumento del numero dei medici, accompagnato, però, anche da un innalzamento della loro età media, attualmente superiore ai 55 anni. Questi dati su aspettativa di vita e sistema sanitario, affiancati a quello, altrettanto insoddisfacente, relativo al tasso di natalità, disegnano un futuro a tinte fosche per l’Italia, al quale porre rimedio con urgenza per ripristinare benessere e fiducia. Welfare, sanità, politiche per la famiglia sono gli elementi necessari al fine di invertire la rotta. Non solo. Il nuovo scenario demografico, economico, occupazionale e sociale post Covid-19 impone anche delle riflessioni sul sistema pensionistico da un lato, sulla necessità di un maggiore coinvolgimento delle nuove generazioni all’interno del mondo del lavoro dall’altro. Già prima della pandemia, quando la tendenza era quella di un innalzamento costante dell’aspettativa di vita, il modello pensionistico verso il quale ci si stava orientando, il “modello Fornero”, era inadeguato, per l’impossibilità, da un lato, di far coincidere una maggiore aspettativa di vita con anche il mantenimento delle caratteristiche psicofisiche necessarie a poter rimanere in attività, specie per le professioni più gravose, e per l’esclusione, dall’altro, di molti giovani dal mondo del lavoro ed in particolare dalle occupazioni più stabili, data l’impossibilità di un adeguato turn-over generazionale. A questi squilibri si era tentato di rimediare introducendo Quota 100. Ora, con l’abbassamento dell’aspettativa di vita e con le precauzioni che si sono rese necessarie per le persone più in là con gli anni e con l’estromissione dal mondo del lavoro di moltissimi giovani a causa della crisi Covid, un sostanziale ripensamento delle politiche previdenziali e occupazionali si è fatto indispensabile. Servirebbero, a questo punto, non solo una proroga di Quota 100, ma anche ulteriori meccanismi di flessibilità in uscita per i lavoratori più anziani e di agevolazione all’assunzione di giovani, per ricalibrare il mondo del lavoro dal punto di vista anagrafico a beneficio di entrambe le fasce d’età, nella pubblica amministrazione, ma anche nel mondo del lavoro privato.