8 marzo: la pandemia colpisce le donne. La ripresa deve iniziare da qui. Mattarella: «La sola libertà di accesso agli impieghi pubblici e privati non risolve interamente il problema dell’occupazione femminile di fronte ad un’evidente disparità»

La pandemia ha colpito indistintamente tutte le donne in Italia sia lavoratrici sia imprenditrici e i dati lo dimostrano: secondo l’Istat solo nel 2020 su 444 mila posti di lavoro persi, 312 mila sono donne. Dall’indagine condotta dall’Ugl in collaborazione con l’Osservatorio nazionale antimolestie (Ona), le donne lavoratrici non hanno subito “solamente” la perdita del posto di lavoro, ma anche il mancato riconoscimento del lavoro svolto, la precarietà, una bassa retribuzione e varie penalizzazioni nella carriera professionale.  Se, per le più fortunate riuscite a mantenere il posto di lavoro, lo smart working da un lato ha conferito alcuni vantaggi in termini di maggiore benessere familiare e produttività, il rovescio della medaglia dall’altro è stato l’incremento del disagio legato al mancato supporto e condivisione, fino all’aumento dei casi di violenza. In più per l’Inail 70 contagi ogni 100 riguardano donne con età media di 46 anni. Se per CNA più di una imprenditrice o lavoratrice autonoma su due non si è fatta travolgere, nemmeno psicologicamente, dal 2020 e quasi il 40% di questa platea l’anno scorso si è impegnato in maniera proattiva, riorganizzando la propria attività o continuando a lavorare, dall’altra il 47% circa assicura che, se l’emergenza non sarà superata in breve tempo, potrebbe ridimensionare fortemente la propria attività (39,1%) o addirittura chiudere i battenti (8,3%). Si tratta di titolari con attività rimaste aperte, al netto insomma delle realtà già cessate. D’altronde la crisi ha colpito proprio quelle attività nelle quali sono presenti in maggior misura le donne: moda, turismo, attività culturali, servizi alla persona, dove maggiore è la presenza femminile sia in termini di occupazione sia di imprenditorialità. L’occupazione indipendente femminile tra industria e servizi è infatti pari al 31,2%, mentre nelle “altre attività”, in cui rientrano i servizi alla persona, tocca il 57,9% e precisamente nell’abbigliamento rappresenta il 52,8%, nella sanità e assistenza sociale il 46,5%, nell’istruzione il 42,3%, nell’alloggio e ristorazione il 41,8%, nel tessile il 41%. Per non parlare poi dei femminicidi: già 11 dall’inizio del 2021. «Sharon, Victoria, Roberta, Teodora, Sonia, Piera, Luljeta, Lidia, Clara, Deborah, Rossella», così il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha ricordato oggi uno a uno i nomi delle donne vittima di femminicidio in questi due soli mesi del 2021, nella cerimonia per la Giornata internazionale della donna, scandendo un secco: «È inaccettabile».