L’indagine si pone, come obiettivo successivo, quello di approfondire quali conseguenze ci sono state con il cambiamento dell’organizzazione lavorativa a causa della pandemia. Alla domanda che intende misurare la percezione sull’adozione forzata di una diversa organizzazione del lavoro, le intervistate hanno indicato per il 76,6% che si trattava di affrontare un’emergenza e come tale viene accettata. La nuova organizzazione del lavoro ha comportato un minor stress negli spostamenti (75,8%), maggiore produttività (69,3%) a discapito del rapporto con i colleghi che sembra peggiorato per il 56,4% dei soggetti. Così come è stato indicato un maggior carico di lavoro per circa il 65,7%. Alla domanda aperta che misura la percezione del disagio lavorativo, il 59,7% ha risposto in modo affermativo contro il 40,3%. Tra le cause individuate dal punto di vista personale segnaliamo il mancato riconoscimento del lavoro svolto, situazione di precarietà e bassa retribuzione. È rilevante anche che il demansionamento insieme a richieste incongruenti rispetto alle proprie possibilità che indicano un forte disagio lavorativo da parte delle intervistate. Per quanto riguarda il disagio percepito a livello organizzativo il dato più significativo è costituito dalla mancanza di condivisione e dall’assenza di controllo che coinvolge i dirigenti ma anche i colleghi. Possiamo concludere che a fronte di alcune esperienze positive sull’adozione dello smart working segnalate nelle risposte aperte, il quadro del disagio percepito fornisce un’immagine di lavoro femminile durante la pandemia di disorganizzazione, mancanza di condivisione e di supporto che si riflette a livello personale con il mancato riconoscimento del lavoro svolto in molte situazioni, di precarietà e bassa retribuzione. A questo va aggiunto il preoccupante dato fornito dall’ultimo report dell’ISTAT sul lavoro dove è emerso a dicembre 2021 il prezzo alto che hanno pagato le donne durante la pandemia: 101 mila occupati in meno di cui 99 mila sono donne.