Il Covid ha prepotentemente imposto misure di flessibilità lavorativa come lo smart working sospendendo, di fatto, alcune regole sulle modalità e sugli ambiti di applicazione di tale tipologia di lavoro. La flessibilità organizzativa, caratterizzata dalla volontarietà delle parti che sottoscrivono un accordo individuale, nonché dall’utilizzo degli strumenti tecnologici che permettono al lavoratore di operare da sedi diverse dal luogo abituale di lavoro, è in realtà venuta meno, dando luogo ad un ibrido dal nome “smart working semplificato” per contenere i contagi. L’evento pandemico ha tutt’altro che “semplificato” e “reso agile” la vita. La percezione delle misure di flessibilità lavorativa (soprattutto per ciò che riguarda lo smart working), a fronte di poche esperienze positive, fornisce il quadro del disagio descritto attraverso un’immagine di lavoro femminile durante la pandemia di disorientamento, mancanza di organizzazione e condivisione del lavoro, che si riflette a livello personale talvolta nell’isolamento e, in molte situazioni, nel mancato riconoscimento della professionalità, nell’iniqua attribuzione della retribuzione del lavoro svolto, sino alla precarietà. Tutto ciò dimostra che il lavoro agile risulta essere funzionale al benessere dei lavoratori nel momento in cui è assegnata alla contrattazione collettiva una speciale funzione regolatrice. Ultimi due importanti dati che sono stati rilevati dall’indagine riguardano: la presenza di organismi di parità all’interno delle aziende/amministrazioni e i casi di violenza e molestie sui luoghi di lavoro. Per quanto riguarda gli organismi di parità la maggior parte del campione intervistato non risponde alla domanda sul ruolo di supporto alle lavoratrici. La capacità o meglio la percezione dell’attività di questi organismi non è affatto incisiva, né in termini di supporto né tantomeno in termini di capacità di poter elaborare contrattazione di secondo livello. Un forte investimento di senso di questi ultimi strumenti sarebbe fondamentale incentivo anche alla efficacia di una contrattazione di secondo livello davvero premiante. Il questionario si chiude domandando alle intervistante se durante il periodo Covid hanno subito violenza o molestie sui luoghi di lavoro. Il 10% ha risposto affermativamente individuando nelle minacce, ricatti ed intimidazioni il comportamento molesto più frequente. La percentuale è superiore a 7,5% indicato come ultimo dato Istat (Report Istat di febbraio 2018— Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro – Anni 2015-2016).