di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Siamo quasi all’8 marzo, giornata internazionale della donna. Non è tempo però di festeggiamenti di maniera, quanto piuttosto di riflessioni serie ed impegni concreti in favore delle donne e delle pari opportunità, specie nell’ambito della presenza femminile nel mondo del lavoro. Se il Covid è stato uno tsunami, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche economico e sociale, per tutti noi, lo è stato ancor di più per alcune categorie già prima in svantaggio. Fra queste le donne, colpite in modo particolare dalle ripercussioni della pandemia sul mondo del lavoro. La disoccupazione tra le donne è cresciuta in modo esponenziale: secondo l’Istat sono stati oltre 440mila i posti di lavoro persi nel corso del 2020, di questi, ben 312 mila (più del 70% del totale) erano di, ormai ex, lavoratrici donne. Molte fra le donne estromesse dal mercato del lavoro a causa della pandemia sono andate ad ingrossare le fila degli inattivi, avendo per il momento rinunciato anche a cercare una nuova occupazione. Nel solo mese di dicembre 2020 sono stati persi 101mila posti di lavoro e di questi 99mila appartenevano a donne, il 98%. I motivi che hanno determinato un impatto della pandemia sull’occupazione così sbilanciato in sfavore delle donne rispetto a quello avuto sulla controparte maschile sono diversi. Ad esempio sono stati particolarmente penalizzati gli autonomi ed i precari e fra queste categorie la presenza femminile è alta. Poi il dato va incrociato con quello di una importante percentuale di lavoratrici donne nei settori maggiormente danneggiati dalla crisi Covid, ovvero turismo, ristorazione, servizi. Una categoria che ha subìto in modo differente l’impatto del virus sul mondo del lavoro è stata quella dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, donne comprese. In questo caso c’è stata la salvaguardia del blocco dei licenziamenti, accompagnata, però, da un massiccio ricorso da parte delle imprese alla Cig Covid. Il lavoro è stato conservato, anche se in molti casi solo grazie al ricorso alla cassa integrazione e quindi con entrate dimezzate. Ora, con il prossimo sblocco dei licenziamenti, in assenza di misure adeguate che mettano in campo sia strumenti di sostegno al reddito che politiche attive, si potrebbe innescare una bomba sociale con la perdita di milioni di posti di lavoro, sia maschili che femminili. Altri lavoratori e lavoratrici dipendenti, invece, hanno potuto sperimentare, spesso per la prima volta, lo smartworking. Una nuova modalità lavorativa con molte luci, ma anche diverse ombre. Da un lato la conservazione di un pieno impiego e di una piena produttività anche in pandemia e un aiuto alla conciliazione fra vita lavorativa e privata. Dall’altro maggiori carichi familiari, prestazioni e orari lavorativi spesso non ben definiti, isolamento. Un impatto, quello del Covid sul lavoro femminile, da analizzare al fine di trovare le migliori strategie possibili per ottenere inclusione lavorativa e pari opportunità, così come ha fatto il nostro sindacato. Oggi abbiamo presentato i risultati di una ricerca sul tema, dal titolo “Lock Women Down”, condotta dall’ufficio Welfare Ugl in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale Antimolestie, ricerca di cui parlerà in dettaglio la prossima Meta Sabato. Servono attività concrete e tangibili, perché l’8 marzo non sia solo una ricorrenza di facciata, specie ora, di fronte alle enormi sfide poste dalla pandemia.