Il sistema Paese è fortemente penalizzato per un sistema fiscale assolutamente inefficiente: chi paga regolarmente, paga troppo, senza avere servizi adeguati, mentre il sommerso continua a pesare tantissimo. L’importanza di condividere con le parti sociali il percorso di cambiamento

La riforma del fisco rappresenta, per molti versi, la madre di tutte le battaglie e non da oggi. Scorrendo tutte le classifiche prodotte dagli organismi internazionali, l’Italia è sempre in coda, laddove si guarda ai parametri positivi, e sempre in testa, dove, viceversa, si guarda gli aspetti negativi. Siamo uno dei Paesi con la più alta percentuale di sommerso, ma anche fra i primi in Europa per pressione fiscale. Siamo anche il Paese con centinaia di agevolazioni che finiscono spesso nel dimenticatoio, delle accise che risalgono ad un’altra epoca storica, di imposte sul valore aggiunto diverse a seconda di chi produce lo stesso prodotto. Insomma, in poche parole, è il festival dell’inefficienza che penalizza tutti: la pubblica amministrazione che vessa, ma non ha le risorse per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni; le famiglie che, quando scorrono le voci della busta paga, guardano alla differenza fra lordo e netto; le imprese che non trovano chi consuma. Ed allora, ecco la riforma del fisco diventa una necessità impellente, come, del resto, ha riconosciuto lo stesso presidente del consiglio dei ministri, Mario Draghi, nel suo doppio intervento in occasione della fiducia in Parlamento. Ad oggi, il governo Conte-2 ci ha lasciato in eredità uno stanziamento di otto miliardi, larga parte dei quali è però vincolato sull’assegno unico per i figli a carico; a conti fatti, la riforma dell’Irpef, secondo l’ex ministro Gualtieri si sarebbe dovuta risolvere esclusivamente in un intervento di un paio di miliardi per ridurre l’impatto fortemente negativo del passaggio da uno scaglione di reddito ad un altro. Il Paese, oggettivamente, ha bisogno di qualcosa di più sostanzioso.