L’attuale sistema finisce per penalizzare spesso le famiglie monoreddito

Sugli obiettivi finali, tutti sono più o meno d’accordo. È sul come che le posizioni tornano a divergere. La riforma del fisco per antonomasia è neanche a dirlo quella dell’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche che interessa come contribuenti diretti oltre venti milioni di cittadini italiani in età lavorativa. A fronte di meccanismi attualmente complessi e, a volte iniqui, fatti di aliquote, scaglioni, detrazioni e deduzioni, l’indicazione di massima che è arrivata anche dal presidente del consiglio dei ministri, Mario Draghi, è di provare a semplificare nel rispetto del principio costituzionale della progressiva dell’imposizione fiscale. Tale affermazione sembra escludere ogni ipotesi di introduzione della cosiddetta tassa piatta, la flat tax, richiamata spesso dal centrodestra. La necessità di semplificare il sistema potrebbe però passare per una riduzione degli scaglioni o delle aliquote. Il sistema, per come è congeniato oggi, finisce per creare dei paradossi, in quanto sono penalizzati, allo stesso tempo, chi guadagna talmente poco da non presentare la dichiarazione dei redditi, i cosiddetti incapienti, e tutti quei redditi medi da 30mila euro lordi, vale a dire circa 1.600 euro al mese per quattordici mensilità, che scivolano nella terza aliquota. Un sistema iniquo anche perché non sempre aiuta le famiglie monoreddito e non favorisce la produttività delle imprese: se non interviene un accordo collettivo, sugli straordinari si applica l’aliquota marginale più alta.