di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Alla fine le scuse sono arrivate, ma le parole pronunciate dal professor Gozzini, docente universitario dell’ateneo di Siena, contro la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, certo non saranno dimenticate facilmente. Per la volgarità inaccettabile, specie se si considera che le frasi ingiuriose sono state dette, in pubblico, nel corso di un’intervista via radio, da un insegnante, una persona, cioè, che dovrebbe occuparsi della formazione delle giovani generazioni, e che quindi dovrebbe poter garantire non solo competenza nelle materie di studio di propria pertinenza, ma anche educazione, correttezza e civiltà. Non saranno facilmente dimenticate, poi, per il fatto di essere state rivolte contro un deputato della Repubblica, presidente, tra l’altro, dell’unico partito attualmente all’opposizione nel Paese. Ciò rende le offese ancor più gravi: un professore universitario, di un ateneo per giunta pubblico, dovrebbe infatti assicurare, al di là delle proprie idee personali, il massimo rispetto nei confronti delle Istituzioni repubblicane e dei principi democratici di pluralismo, libertà di opinione, tutela delle minoranze politiche. Anche a garanzia dei propri studenti. Chi ora potrebbe infatti essere certo che i giudizi, anche in sede d’esame, formulati dal professore non siano minati da mancanza di obiettività e che non siano invece improntati su discriminazioni – vietate dalla Costituzione – basate sulle opinioni politiche? Già tutto questo sarebbe sufficiente a chiedere l’immediata rimozione dell’insegnante. Tutto ciò senza considerare l’aspetto principale della questione, ossia la misoginia, la mancanza di rispetto nei confronti di una persona, attaccata in quanto donna, offesa non nel merito delle sue idee e delle sue azioni, ma sul piano personale e umano, con ingiurie specifiche dovute al suo essere di genere femminile. Fortunatamente molte sono state le attestazioni di solidarietà in favore di Giorgia Meloni, da parte del Presidente della Repubblica Mattarella, del Presidente del Consiglio Draghi, di moltissimi esponenti politici di destra come di sinistra, di tanta parte (non tutta) della cosiddetta “intellighenzia” del Paese. Manifestazioni di solidarietà alle quali naturalmente voglio aggiungere la mia personale e quella di tutta l’Unione Generale del Lavoro. Questo attacco “sessista”, non il primo e purtroppo forse neanche l’ultimo pronunciato contro la Meloni o altre donne di destra, non è un caso isolato, ma la punta di un iceberg. La prova di un atteggiamento antifemminista molto più diffuso a sinistra di quanto si pensi e senz’altro più comune tra i cosiddetti progressisti che tra i conservatori, andando oltre gli stereotipi e giudicando in base ai fatti. Non è un caso che l’unica leader di partito donna si trovi a destra – proprio lei, Giorgia Meloni – e che sia molto più facile trovare donne in ruoli apicali nelle organizzazioni politiche non di sinistra. Nella formazione dell’attuale governo, ad esempio, abbiamo potuto constatare la presenza di ministri donne provenienti da tutte le formazioni, con l’esclusione, difficile pensare che sia una “dimenticanza”, solo di Pd e Leu. A sinistra, nonostante la profusione di buone intenzioni e l’abitudine a fare la morale agli altri senza guardare in casa propria, continua a serpeggiare una buona dose di inaccettabile misoginia.