di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Alla fine il Presidente della Repubblica, naufragate le trattative per la ricomposizione della maggioranza giallorossa, è stato costretto a calare l’asso nella manica. Pur di non sciogliere le Camere, mettendo così fine alla Legislatura “più pazza del mondo”, ha, infatti, convocato al Quirinale Mario Draghi, per dar vita a un governo tecnico, nella speranza di raccogliere, attorno alla figura dell’ex presidente della Bce, apprezzato da molti, un’ampia fiducia parlamentare. Votare non si può, ha spiegato ieri il Presidente al termine dell’infruttuosa esplorazione di Fico, con un’insolita dovizia di dettagli. Adducendo motivazioni sensate – la pandemia in corso, la necessità di presentare entro i tempi stabiliti il Recovery Plan – ma non per questo indiscutibili. Per evitare, ancora una volta, le urne, a questo punto, chiuse tutte le altre strade, l’unica scelta possibile era quella di fare quel nome che circolava già da tempo, una specie di “ultima spiaggia” alla quale approdare in casi di estremo bisogno, casi che, evidentemente, si sono verificati. Ed ecco Draghi. Col mandato di formare, a detta di Mattarella, «un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Certo, la situazione sanitaria, economica e sociale impone di trovare, rapidamente, una soluzione che permetta al Paese di affrontare la crisi e progettare la ripresa. Senz’altro la figura di Draghi rappresenta un cambio di passo, in termini di competenza ed autorevolezza, rispetto ad alcuni esponenti piuttosto inadeguati dell’Esecutivo uscente. Tuttavia è anche vero quanto affermato dal collega Landini della Cgil, ossia che non esistono governi non politici. Per chiarire: dando per assodate la capacità di Draghi, sarà fondamentale sapere al servizio di quale progetto per il Paese il banchiere intenderà spendere le proprie indiscusse doti. Sarà un nuovo Monti, anche lui Mario, tutto “lacrime e sangue” specie nei confronti della già tartassata classe media? Oppure vorrà utilizzare le risorse europee per una ripresa sostenibile e socialmente inclusiva del Paese? Come intenderà difendere i nostri asset strategici, le grandi industrie e le piccole imprese già provate dalla globalizzazione ed ora travolte dallo tsunami Covid? Che progetto di riforma del welfare, delle politiche del lavoro, degli ammortizzatori sociali, della previdenza, avrà in mente? Sul piano fiscale, sarà orientato verso più o meno esplicite patrimoniali, oppure propenderà per un fisco finalmente più leggero, per sostenere l’iniziativa privata e l’occupazione? Sarà orientato a prorogare il blocco dei licenziamenti, la cig covid e i ristori o preferirà applicare a lavoratori e imprese una rigida selezione darwiniana per contenere il debito? Che ne farà delle task force e dei vari commissari, Arcuri in primis, lasciati in eredità dal Conte 2? Questi ed altri interrogativi, non certo secondari e soprattutto molto più politici che tecnici, restano in piedi ed andranno chiariti quanto prima, per poter dare un giudizio sull’eventuale governo Draghi, nonostante la scelta di un nome indubbiamente prestigioso.