di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Da qualche giorno le cronache estere raccontano che l’ex presidente americano Donald Trump a pochi giorni (9 febbraio) dal secondo processo per impeachment stia facendo fatica a trovare avvocati disposti a difenderlo. Alcuni tra quelli che lo hanno fatto nel primo processo si sono dimessi. Più che una difesa d’ufficio dell’ex presidente Usa, del quale, è giusto ricordarlo, La Meta Serale ha giudicato positivamente diverse scelte, soprattutto economiche e di politica estera, la presente intende essere una difesa d’ufficio della nostra intelligenza. L’UE ha apertamente “tifato” fin dall’inizio della campagna elettorale per Joe Biden. Nonostante ciò la stessa, trainata dalla Germania fortemente “bisognosa” di esportazioni, ha scelto di avvicinarsi ancora di più alla Cina, rispetto a quanto già fatto nell’era Trump. Poi anche alla Russia con i vaccini e con il gas. In particolare l’accordo sugli investimenti con la Cina, stretto circa una settimana prima dell’insediamento di Joe Biden, è stato interpretato inizialmente dallo staff del “presidente eletto” come una sorta di «ripudio» della linea Biden. Poi la posizione è stata corretta da Jake Sullivan, veterano delle amministrazioni Obama, scelto da Biden come consigliere per la Sicurezza nazionale: l’accordo Cina-Ue non è un ripudio della linea Biden ma della linea Trump. Non più presidente, però. Come mai una simile svista? Joe Biden, tra i primi segnali di politica estera, ha indirizzato due chiari avvertimenti alla Russia e alla Cina: contro la repressione di Mosca delle manifestazioni a favore di Alexiei Navalny e contro il sorvolo da parte dei bombardieri cinesi dello spazio aereo di Taiwan. Lo stesso consigliere Sullivan ha spiegato le preoccupazioni statunitensi verso le mosse cinesi su commercio, tecnologia, diritti umani. Ovvero le medesime di Donald Trump, lasciato però dalla UE solo in questa battaglia, – mettendo decisamente in crisi l’atlantismo del Vecchio continente – anche dopo lo scoppio della pandemia da Coronavirus, sulla quale, è bene anche questo ricordarlo, l’Oms sta indagando. Cosa dire poi dei decreti “buy american” firmati tra i primi 17 atti da Joe Biden? Volti a rafforzare l’industria manifatturiera domestica attraverso commesse federali che sostanzialmente la impongono, non possono non ricordare il tanto vituperato “America First”. L’attuale governo americano gestisce commesse per 600 miliardi di dollari l’anno in prodotti e servizi e in questo modo il neo presidente americano è andato ben oltre quanto fatto dall’amministrazione Trump, la quale, nonostante l’avversione per il multilateralismo, aveva cercato di restare dentro i limiti posti dagli accordi Government Procurement Agreement, che impegnano i sottoscrittori (48 Stati, di cui 27 UE) a garantire l’accesso agli appalti pubblici di dimensione rilevante. Sia chiaro Biden sta realizzando quanto promesso in campagna elettorale. Ma guai a definire la sua politica “sovranista”.