di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Dopo la fiducia stentata ottenuta la scorsa settimana dal premier, la politica italiana si trova in una situazione di stallo, con tutto ciò che ne consegue, soprattutto per la cittadinanza, in attesa di risposte certe e rapide sulle misure per fronteggiare la crisi. L’appello di Conte ai cosiddetti responsabili non è stato, infatti, raccolto da un numero sufficiente di parlamentari. Già questo imporrebbe la rassegnazione delle dimissioni da parte dell’avvocato, ma la resa dei conti definitiva potrebbe arrivare in modo inequivocabile se si dovesse procedere alla verifica in Aula sulla divisiva relazione del ministro Alfonso Bonafede sullo stato della giustizia, prevista per mercoledì o al massimo per giovedì. Nel caso in cui la relazione del Guardasigilli dovesse essere bocciata – ed è previsto un “niet” anche da parte di diversi deputati e senatori centristi che hanno appena votato la fiducia al Premier – a Conte non resterebbe che rimettere il mandato nelle mani di Mattarella. A questo punto, nell’arco di un paio di giorni, il Presidente del Consiglio dovrebbe comunque recarsi al Colle. Difficile fare previsioni sugli esiti della crisi formale che si sta profilando all’orizzonte. Cosa potrebbe accadere dopo le dimissioni di Conte? Una cosa è certa: le forze di maggioranza, da Leu ai Cinquestelle, passando per il Pd e compresi i vari responsabili e perfino i “guastatori” di Italia Viva, nonostante le dichiarazioni roboanti, tenteranno il tutto per tutto per evitare lo scenario – per loro – peggiore, ovvero quello del ritorno alle urne. Ma, per trovare l’accordo, si dovranno necessariamente impostare equilibri differenti. Solo allora, con l’assicurazione di partecipare a un governo diverso, quanto a politiche e soprattutto a cariche, potrebbe farsi avanti la tanto attesa componente di centro, che finora manca all’appello. Non è affatto escluso, poi, una volta rimodulata la composizione e il progetto alla base del nuovo esecutivo, un rientro in maggioranza di Matteo Renzi, per garantire quel numero adeguato di voti sui quali fondare un governo più stabile. Lo dimostrano gli appelli che da più parti giungono per ricucire i rapporti con il senatore di Rignano e la sua compagine parlamentare. Tutto chiaro, quindi. O quasi. Resta difficile comprendere come si concilieranno le proposte dei grillini, un tempo di rottura, sulla giustizia e non solo, con l’atteggiamento moderato dei centristi. Altrettanto complesso immaginare vicini, sugli scranni del governo, a decidere, ad esempio, sulle politiche per la famiglia, i deputati di Leu e i cattolici più intransigenti. La voglia di restare a galla aiuterebbe, comunque, a trovare una sintesi. L’unico elemento sacrificabile sembrerebbe proprio Conte, sempre più debole, col rischio concreto di andare al “conclave” quirinalizio come papa designato e uscirne come semplice cardinale o addirittura come vescovo di provincia. Messo all’angolo, come la componente di maggioranza che a suo tempo l’aveva proposto, quel M5S primo partito per numero di parlamentari, ma ormai ultimo per peso politico e disposto a cedere su tutto. Persino ad accettare, pur di non tornare al voto, la prospettiva di un governo allargato al centro e senza Conte, un artificio da Prima Repubblica senza alcuna connessione con la volontà del popolo italiano e del tutto inadeguato in tempi di pandemia.