di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Che l’Italia non fosse un Paese per giovani e che spesso privasse delle giuste opportunità di inserimento lavorativo e sociale i cittadini di qualunque età, specie quelli maggiormente qualificati, già, purtroppo, lo sapevamo. Ma a ribadire questa triste realtà è stata l’Istat, che, nel suo rapporto “Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione italiana”, ha reso noti i termini numerici del problema. Nel solo 2019 – prima, quindi, della pandemia da Covid – 180mila persone si sono cancellate dal nostro anagrafe, il 14,4% in più rispetto all’anno precedente, 122mila di queste di cittadinanza italiana. Considerando anche gli italiani che invece hanno deciso di tornare, 68mila, resta comunque un saldo negativo di 54mila connazionali in meno. Emigrano i giovani, in maggioranza uomini, e se ne vanno molte persone con un alto titolo di studio. Dal Sud, dal Centro, ma soprattutto dal Nord Italia. Il Sud, invece, continua a muovere molta migrazione interna verso il Centro-Nord. Anche tanti stranieri se ne vanno dall’Italia: 37mila, sempre con dati relativi al 2019, dopo aver vissuto e lavorato in Italia, hanno deciso di tornare al Paese d’origine o di trasferirsi in Stati più fiorenti. Diminuiscono i nuovi migranti che decidono di stabilirsi qui, 265mila nel 2019, con un calo del 7,3% rispetto al 2018. I dati forniti dall’Istat tratteggiano un quadro chiaro: l’Italia non si colloca più fra i Paesi attrattivi, dove restare, se nati qui, o verso il quale dirigersi, se stranieri. Si è trasformato in uno Stato “di serie B” nel quale la povertà aumenta, dove diminuiscono le possibilità di raggiungere un grado soddisfacente di realizzazione economica e personale, specie dato il blocco del cosiddetto “ascensore sociale”. E allora chi può decide di andarsene. I dati mostrano, a testimonianza di questa situazione, che emigrano, a differenza di quanto avveniva in altri periodi storici, non tanto i cittadini italiani più emarginati, i più poveri, i meno istruiti, ma, al contrario, le persone che, partendo da buone basi economico-sociali, decidono, perché possono permetterselo, di non accontentarsi più di ciò che offre l’Italia e provano a costruirsi un futuro migliore altrove, in luoghi nei quali l’economia è più vitale e la meritocrazia non solo una buona intenzione. Stesso discrimine fra gli stranieri: anche fra i “nuovi italiani” quelli con maggiori possibilità se ne vanno, mentre tra i migranti, quelli con basi economico-culturali migliori scelgono altre mete. Un’Italia in declino, dal punto di vista demografico, sociale ed economico. Servirebbero, e con urgenza, politiche economiche, fiscali, sociali ed occupazionali mirate ed efficaci, finalizzate a far tornare l’Italia un luogo attrattivo, con l’obiettivo di invertire questa tendenza tutt’altro che entusiasmante per il futuro del nostro Paese.