di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Spesso da più parti si ricorda con un pizzico di rimpianto il tempo della “vecchia politica”. Personaggi colti, distinti, misurati nei modi, forse anche un po’ paludati. C’era serietà e competenza – si dice – tutto era diverso rispetto ad oggi. Questa “operazione nostalgia” paradossalmente è solo di facciata. Risente, infatti, e pienamente, dello spirito dell’epoca attuale, quello della forma che prevale sulla sostanza, della comunicazione fine a se stessa, non più mezzo ma meta. La differenza sostanziale tra molta della politica di ieri e altrettanta di quella di oggi non è nello stile comunicativo, ma nei contenuti. Una volta c’erano idee chiare e forti alla base dell’impegno politico, una visione precisa a sostegno di osservazioni e proposte. Il riferimento è alle censure operate in questi giorni nei confronti del presidente americano uscente, Donald Trump, ma anche verso altri utenti dei social, si pensi al quotidiano italiano Libero, da parte dei “padroni del discorso”. Dei miliardari, a capo di multinazionali, stanno stabilendo chi possa esprimersi o meno sui mezzi di comunicazione più in voga del momento, dando vita ad una vera e propria operazione di censura planetaria, risultando più potenti anche di chi un tempo veniva considerato l’uomo più potente del mondo, ovvero il presidente in carica degli Usa. Il tutto nella sostanziale indifferenza della politica e della cittadinanza, compresa quella “impegnata”. Che magari si autodefinisce “di sinistra”. Dopo i fatti di Washington, anche ai tempi della “vecchia politica” ci si sarebbe interrogati sul comportamento di Trump e ci si sarebbe chiesti se avesse oltrepassato i limiti della legalità, se avesse o meno istigato i rivoltosi. Ognuno avrebbe detto la sua, in favore o contro. Il “sistema” politico-giudiziario, in questo caso quello americano, si sarebbe espresso in merito, traendone le conseguenze, come sta accadendo ora con la richiesta di impeachment. Ma l’ostracismo messo in atto dai social non sarebbe stato possibile. Certo, non ci illudiamo. Anche allora si tentava di oscurare l’avversario. Anche allora, ai tempi della “vecchia politica” le regole si applicavano per i nemici e si interpretavano per gli amici. Ma, se censura doveva essere – e anche allora c’era – era censura di Stato. Invece, il fatto di lasciare a privati cittadini le chiavi del dibattito e della comunicazione pubblica avrebbe generato più di una preoccupazione, di una perplessità. Non si tratta di una questione da poco. Si tratta di una discriminante della massima importanza, a tutela di tutti, compresi quelli che ora gioiscono. Abbiamo delegato alle grandi aziende private del Web un ruolo troppo importante, essenziale, senza considerarne le conseguenze. Non essere presenti sui social oggi significa essere invisibili, forse inesistenti. Hanno soppiantato tutti gli altri mezzi di comunicazione, normati da regole ben più chiare e stringenti, e si sono trasformati in una “pubblica piazza” alla quale affidare persino le comunicazioni delle maggiori cariche istituzionali, ma sono e restano una piazza privata. Nella quale qualcuno – non un parlamento democraticamente eletto, non la magistratura, non un ente pubblico, non dei corpi intermedi, ma degli oligopolisti con i loro consigli d’amministrazione – può decidere arbitrariamente le regole del dibattito. Qualche tempo fa sarebbe stato impensabile. Per motivi come questo, di sostanza e non certo di forma, un po’ manca, la “vecchia politica”!