di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La data di oggi ci ricorda quanto accaduto a Roma tanti anni fa, nel 1978. Eravamo nel pieno degli anni di piombo e nella serata del 7 gennaio avvenne uno tra i peggiori agguati nei confronti dei militanti di destra. Prima un gruppo armato assaltò i ragazzi che uscivano dalla sezione del Msi di Acca Larenzia, uccidendone due, uno sul colpo, Franco Bigonzetti, l’altro, Francesco Ciavatta, dopo averlo prima ferito e poi inseguito per infliggergli il colpo fatale. Gli altri presenti riuscirono a salvarsi rifugiandosi nella sede del partito. Nelle ore successive, saputi i fatti, moltissimi missini si riunirono sul luogo della tragedia per un sit-in di protesta e, scoppiati dei disordini, un terzo giovane militante, Stefano Recchioni, venne ferito mortalmente. Non venne mai fatta piena luce sui fatti: il carabiniere incriminato per la morte di Recchioni, Edoardo Sivori, fu prosciolto. Gli assalitori colpevoli dell’agguato non furono mai individuati: solo molti anni dopo furono arrestati alcuni membri di Lotta Continua, uno di loro morì in carcere, gli altri furono poi assolti per insufficienza di prove. Fu un evento particolarmente drammatico, nel quale persero la vita tre ragazzi innocenti, uccisi a causa delle loro idee. Un delitto impunito, che esasperò il senso di emarginazione di tutti i sostenitori della destra, sempre più “esuli in patria”, considerati cittadini di serie B, impossibilitati a esprimere pubblicamente le proprie idee senza rischiare, nel migliore dei casi, isolamento, intimidazioni e attacchi verbali, in anni nei quali per molta parte dell’allora mainstream politico e culturale “uccidere un fascista non era reato”. Scatenò un ulteriore inasprimento della violenza e dell’odio politico. Poi divenne, per la destra, data simbolo a commemorare tutti i propri caduti di quei terribili anni. Così sarà anche oggi, pandemia permettendo, con le tante e diverse persone che si riconoscono nei valori della destra e che ricorderanno, ognuna a suo modo, Franco, Francesco e Stefano. Per quei tragici eventi il Paese avrebbe dovuto fare giustizia, o quantomeno trarre un qualche insegnamento. Riallacciare quei legami di comunità capaci di rendere tutti i cittadini, di qualunque schieramento, a pieno titolo membri del consesso civile. Arginando la violenza politica, tutta. Non considerando alcuni aggressori migliori di altri solo perché della propria parte. Non considerando alcune vittime meno importanti perché della fazione avversaria. Così non è stato, nonostante alcuni, pochi, nobili tentativi di pacificazione. Lo vediamo ogni giorno: dopo quarant’anni e oltre, le sigle politiche sono cambiate, sono cambiati i leader, le proposte e persino le idee. Quello che invece non è cambiato è il desiderio strisciante di delegittimare l’agibilità politica della destra. Di qualunque destra. Non ce n’è mai stata una pienamente accettata e riconosciuta in questi lunghi anni, né quella missina, né quella liberale, né ora quella sovranista. Fortunatamente non siamo ricaduti nella violenza di quegli anni, ma ricordare Acca Larenzia “serve” anche a questo: a rimanere vigili, a non cadere nelle provocazioni, a pretendere rispetto per le proprie idee, per evitare che si passi di nuovo il segno.