di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Una Stellantis appena nata grazie al via libera dei rispettivi azionisti alla fusione tra i gruppi Fca e Psa, in un periodo di profonda emergenza e a fronte di un mercato, quello italiano dell’Auto, che si è chiuso nel 2020 con un -27% di immatricolazioni (pari a mezzo milione in meno di macchine), porta indubbiamente speranza ad un settore in difficoltà e agli stabilimenti italiani di Fca, stando a vedere ovviamente con il confronto tra nuovo Gruppo e sindacati i dettagli del piano industriale. Ma allo stesso tempo si è aperto davanti a noi, alla luce dei dati diffusi ieri dal Centro Studi Confindustria, un mare di debito in capo alle imprese italiane, come era peraltro prevedibile, che moltiplica le ombre sinistre sul futuro del nostro sistema produttivo. Il debito creato nell’anno appena trascorso è servito alle imprese per arginare la loro crisi di liquidità causata dal crollo dei fatturati, generato dal lockdown e dalle altre misure restrittive scelte dal Governo Conte per arginare la pandemia. I dati del Centro studi Confindustria dicono che nel 2020 il credito bancario alle imprese italiane ha registrato un vero e proprio balzo, pari al +7,4% annuo a ottobre, spinto dai prestiti emergenziali con garanzie pubbliche, arrivati oggi a circa 146 miliardi di euro. Per il Csc il peso del debito è cresciuto in misura marcata in molti settori rispetto al 2019 e allo stesso modo è cresciuto l’onere per interessi.
Siamo di fronte a livelli impressionanti di debito e per un sindacato è doveroso far squillare l’allarme, perché senza imprese e senza investimenti non c’è lavoro. Non prendiamocela solo con pandemia, come se tutto ciò che è accaduto fosse stato una conseguenza inevitabile. Al contrario di quanto avvenuto in altri Paesi europei, il nostro Governo ha incentivato il ricorso al debito, invece di prevedere cospicui finanziamenti a fondo perduto a favore delle aziende che ora si trovano strette nella morsa dei pagamenti. La situazione appare ancora più preoccupante considerate le nuove norme europee in materia di identificazione di posizione in default e di crediti deteriorati.
È inutile nasconderlo, siamo seduti su una polveriera pronta a saltare, con ripercussioni occupazionali devastanti se non si adottano misure tempestive. In primis occorre un prolungamento del periodo di rimborso, in particolare per quanto riguarda i debiti di emergenza contratti nel 2020. Occorre altresì intervenire implementando l’erogazione di liquidità per dare ossigeno all’intero tessuto produttivo ormai in ginocchio, riducendo un carico fiscale insostenibile al fine di supportare la crescita e la patrimonializzazione, salvaguardando così al contempo i posti di lavoro.