La maggior parte ha perso la vita lontano da zone di guerra

Nel 2020, nel mondo, cinquanta i giornalisti sono stati uccisi. A riferire il bilancio è Reporter senza Frontiere (Rsf) sottolineando che la maggioranza di loro sono stati uccisi lontani da zone di guerra. Rispetto allo scorso anno, quando i cronisti che persero la vita furono 53, il numero delle vittime è stabile: il Messico è il Paese dove è stato registrato il maggior numero di morti (8), seguito da India (4), Pakistan (4), Filippine e Honduras, entrambi con tre vittime. Secondo Reporter senza Frontiere, i giornalisti che hanno perso la vita in Paesi non in guerra sono stati 34, pari al 68% del totale. Nel frattempo, la quota dei reporter uccisi in zone di guerra – in Paesi come la Siria e lo Yemen o “aree afflitte da conflitti di bassa e media intensità”, come l’Afghanistan e l’Iraq – continua a scendere, passando dal 58% del 2016 al 32% del 2020. Nel sottolineare che l’84% dei cronisti uccisi quest’anno è stato eliminato deliberatamente e in modo consapevole dagli assassini, RfS ha aggiunto che diversi giornalisti sono stati assassinati in modo “particolarmente barbaro”. Gli esempi, purtroppo, non mancano: Julio Valdivia Rodriguez, giornalista del quotidiano messicano El Mundo de Veracruz, è stato trovato decapitato nell’est dello Stato, e il suo collega Victor Fernando Alvarez Chavez, direttore di un sito di notizie locale, è stato fatto a pezzi, ad Acapulco. E ancora: circa 20 giornalisti investigativi sono stati uccisi quest’anno, dieci dei quali indagavano su casi di corruzione locale e appropriazione indebita di fondi pubblici, quattro si occupavano di mafia e criminalità organizzata e tre scrivevano di temi legati alle questioni ambientali.