Lo sostiene uno studio dell’Università Statale di Milano

L’andamento della pandemia è influenzato dalle condizioni meteorologiche. A lungo, specialmente nei primi mesi dell’emergenza sanitaria, questa è stata soltanto un’ipotesi. Uno studio realizzato dall’Università Statale di Milano, pubblicato sulla rivista Science of the Total Enviroment, offre qualche conferma. Utilizzando il database curato dalla Johns Hopkins University, che monitora quotidianamente l’andamento globale della pandemia, due ricercatori dell’Università Statale di Milano, Francesco Ficetola e Diego Rubolini, hanno analizzato come è variato nel tempo e nelle diverse regioni del mondo il tasso di crescita giornaliero dei casi di Covid-19. Dopodiché lo hanno messo in relazione con diversi fattori ambientali – temperatura e umidità medie dei mesi dell’epidemia; inquinamento atmosferico… – e con le misure restrittive varate dai governi per contenere la pandemia. È emerso così che, fino a marzo 2020, la variazione del tasso di crescita dei casi Covid tra i Paesi è risultata essere fortemente associata alla temperatura e all’umidità. Nel dettaglio, spiegano i ricercatori, il virus si diffondeva più rapidamente nei Paesi dove le temperature medie erano di circa 5°C e con un tasso di umidità medio-basso. In presenza di un forte inquinamento atmosferico da polveri sottili, poi, la diffusione era anche più rapida. Viceversa, in climi molto caldi e umidi, tipici di alcune zone tropicali, l’epidemia sembrava diffondersi molto più lentamente.