Solo il 5% segue Cgil, Cisl e Uil. Ora serve un confronto serio e allargato

Alla fine, l’adesione allo sciopero del pubblico impiego è stata inferiore rispetto anche alle più negative previsioni della vigilia. La fuga in avanti delle federazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil non è stata evidentemente compresa dai lavoratori pubblici, come avevano ampiamente previsto l’Ugl e qualche altra sigla minore. Un flop che va anche oltre al semplice dato del 5% e che si giustifica soltanto in parte con l’effetto combinato dello smart working che, oggettivamente, non invoglia molti a scioperare e, quindi, a rinunciare ad almeno cinquanta euro. Passato lo sciopero e con una categoria oggi più debole davanti al governo, restano in piedi tutte le problematiche evidenziate nei giorni scorsi. Le risorse per il rinnovo contrattuale non sono sufficienti, soprattutto se consideriamo il mancato recupero del potere d’acquisto del periodo 2009-2015, completamente ascrivibile al governo Gentiloni; quanto stanziato in tre tornate dal 2019 ad oggi, potrebbe garantire un incremento medio a regime nell’ordine di circa 90 euro. Ma prima ancora degli aspetti economici, l’attenzione dovrebbe essere rivolta pure agli aspetti normativi, alla assoluta inadeguatezza delle piante organiche, in particolare nella sanità, nella scuola e negli enti locali, al proliferare del lavoro precario e all’assenza di adeguata formazione, proprio mentre si chiede uno sforzo enorme sul versante della digitalizzazione.