di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

L’abbiamo detto più volte e non a caso: l’Ugl è “l’altro sindacato”. Quello che si ispira ai valori del sindacalismo nazionale, che crede nella solidarietà fra tutti i settori produttivi, quello per il quale le mete dell’azione sindacale sono, di pari passo, giustizia sociale e interesse nazionale. Per queste ragioni oggi non abbiamo aderito allo sciopero indetto da alcuni sindacati per il rinnovo dei contratti nazionali della pubblica amministrazione. Sarebbe stato diverso in un altro momento storico, ma ora – in piena pandemia, con milioni di persone senza lavoro o in cassa integrazione, con il rischio concreto di perdere un milione di posti di lavoro nel settore privato, con moltissime piccole imprese allo stremo, in un periodo in cui l’intera economia italiana è vicina al collasso – abbiamo ritenuto questo sciopero, certamente legittimo, ma, comunque, del tutto inopportuno. Così abbiamo scelto di non prendervi parte. Una rivendicazione salariale proveniente da una delle pochissime categorie che non ha subito disagi, in questo frangente così difficile per l’Italia, non la comprenderebbe, e non la comprende, nessuno. I dipendenti pubblici, a differenza dei disoccupati, ancora più ai margini, dei precari, estromessi dal mercato del lavoro, dei lavoratori del settore privato, molti dei quali in Cig e con la “spada di Damocle” dello sblocco dei licenziamenti che arriverà in primavera, degli autonomi e dei piccoli imprenditori a rischio fallimento, non hanno avuto conseguenze a causa del virus, delle scelte del governo per contenere i contagi, ovvero lockdown e chiusure forzate, del tracollo dell’economia. In questo contesto sono una categoria per certi versi “privilegiata” e per questo lo sciopero era fuori luogo, tant’è che moltissimi fra gli stessi appartenenti al settore pubblico non ne hanno condiviso le ragioni ed è facile prevedere che aderiranno in pochi. È evidente che i vertici dei sindacati del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil sono completamente scollegati dalla base, non rendendosi conto forse neanche del fatto che questo sciopero rischia di fomentare lo scontro sociale fra i cosiddetti “garantiti” e chi rischia di perdere tutto. Ciò non vuol dire, però, che i dipendenti della Pa non abbiano avuto anche loro delle difficoltà a causa del Covid e il nostro ruolo sindacale per la loro tutela in questo momento è proprio quello di agire al fine di superare queste criticità. I lavoratori di comparti delicatissimi, sanità, forze di sicurezza, scuola, sono particolarmente necessari, più esposti degli altri in questa pandemia e quindi va affrontato il tema di una maggiore e più efficace tutela della loro salute e sicurezza. Molti dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono stati messi in smart working e occorrono norme certe per regolamentare una modalità di lavoro nuova. L’intera macchina amministrativa avrebbe bisogno di uno scatto in avanti, di una staffetta generazionale portatrice di nuove competenze e di un’organizzazione del lavoro all’altezza di uno Stato moderno. Tutto questo, però, non si ottiene con uno sciopero: mai come in questa fase occorre mantenere la coesione sociale, con intelligenza e lungimiranza, superando egoismi e barricate ideologiche nell’interesse di tutti i cittadini, cooperando per la rinascita dell’Italia.