di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale UGL

Visto da qui il 6 aprile 2016 sembra lontanissimo. Molto più dei quattro anni trascorsi dal giorno in cui l’allora presidente della Bce, Mario Draghi, parlando nel corso di un Consiglio di Stato a Lisbona, pronunciò le fatidiche parole «lost generation», avvisando l’Europa intera che, la generazione dei giovani di allora, nonostante fosse la più istruita di sempre, stesse pagando il prezzo più alto della crisi in termini di disoccupazione, allora stabile nell’eurozona al di sopra del 20%, con buona pace di Garanzia Giovani. I Paesi con la più alta disoccupazione giovanile erano Spagna (45,3%), Portogallo (30%), Grecia (50%) e Italia (40%). Quest’ultima oggi al comunque ragguardevole 30%. Parole che mi sono tornate in mente, sabato scorso, di fronte a due piazze molto diverse, ma entrambe colme di disagio: Roma e Parigi. Per motivi diversi, centinaia di migliaia di giovani, probabilmente, erano in piazza, coinvolti rispettivamente in una megarissa tra adolescenti e in scontri con la Polizia. In Francia i cortei erano ben 90. La manifestazione più violenta a Parigi dove si è assistito a scene di guerriglia sotto la pioggia incessante. Si può obiettare che a Parigi si manifestava contro la precarietà del lavoro, contro l’articolo 24 della legge sulla Sicurezza Globale, che vieta di riprendere poliziotti e gendarmi in azione, e anche contro il pestaggio ingiustificato di un cittadino francese dalla pelle nera. Si fosse trattato di in un altro Paese dell’Est o del Sud, sovranista, si sarebbe detto che in pericolo è la democrazia. A Roma invece non è ancora chiaro quale si stata la vera motivazione, è certo però che centinaia di ragazzi si sono organizzati tramite Tick Tock al solo scopo di darsele di santa ragione in un orario, le 17 di sabato pomeriggio, che non si sceglie per nascondersi, in una delle piazze più note della Capitale. La fallimentare amministrazione capitolina ha le proprie responsabilità, non meno il Governo che (con il Cts) continua a essere più attento al distanziamento fisico che al disagio sociale.
Sta sfuggendo un punto fondamentale. A quattro anni di distanza da quell’ormai lontanissimo 6 aprile 2016 di generazione perduta in Italia, e non solo, rischia di essercene più di una: gli anziani, lasciati soli a combattere; gli adulti, chiamati 24 ore su 24, a presiedere all’educazione/istruzione dei propri figli mentre sono magari in smartworking o a rischiare il contagio con attività lavorative/professionali a rischio, se sono fortunati ad avercelo ancora un lavoro; i giovani, tra i quali l’occupazione resta un miraggio, mentre è in costante aumento il consumo di droghe, di psicofarmaci ottenuti grazie a certificati falsi e la depressione. Toc, toc!