di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Gli effetti di questi lunghissimi mesi di pandemia si stanno iniziando a manifestare – in modo preoccupante – in diversi ambiti. L’emergenza sanitaria, con l’affollamento degli ospedali e il rallentamento delle terapie rimandabili, assieme alla crisi economica generata dai lockdown totali e parziali, con l’aumento della disoccupazione, la crisi di moltissime attività, la povertà crescente stanno determinando conseguenze profonde nella nostra società, di cui forse ci renderemo conto fino in fondo solo fra qualche tempo. Un aspetto di cui hanno parlato in questi giorni diversi quotidiani è, ad esempio, il rapporto fra virus e demografia. La crisi demografica in atto è ormai di portata significativa: la popolazione italiana è scesa sotto la soglia dei 60 milioni di abitanti, con un ridimensionamento pari a 250mila residenti in meno, dovuto sia all’aumento della mortalità determinato dal virus, sia al crollo delle nascite. Nelle stime degli istituti di statistica, si prevedeva un simile scenario solo nel 2031. Se nel 2019, l’anno precedente allo scoppio della pandemia, le nuove nascite registrate in Italia erano state 420mila, segnando un minimo storico negli ultimi 150 anni, ora – con l’arrivo del Covid – le proiezioni per il 2020 e per il 2021 sono ancora peggiori. Il bilancio finale dell’anno in corso dovrebbe essere di 408mila nascite, addirittura 393mila quelle previste per il 2021. Il clima di incertezza porterà molti nostri connazionali, almeno per il momento, a non avere figli. Fra le cause, la paura di contrarre il virus e le procedure rallentate per le fecondazioni assistite. Lo scoglio maggiore resta, comunque, quello economico. La crisi generata dai provvedimenti anti-contagio ha gettato molti nostri connazionali in una condizione di precarietà tale da far rimandare a data da destinarsi ogni progetto procreativo. Servirebbero maggiori sforzi per cercare di affrontare in modo più incisivo la questione demografica, che a lungo termine rischia di essere devastante per il futuro del nostro Paese. Finora la sola risposta è stata l’assegno unico per i figli, introdotto nella legge di bilancio, ma si tratta di poca cosa, insufficiente a invertire una tendenza che già era consolidata e che adesso è ancor più esasperata. Servirebbe un piano organico di supporto alla natalità, che comprenda oltre al sostegno economico anche il potenziamento dei servizi e una riorganizzazione complessiva delle attività sociali e lavorative che sia “family friendly”, anche utilizzando ove possibile le potenzialità positive dello smartworking. Soprattutto, però, servirebbe un progetto di ripresa economica ed occupazionale che riesca a coinvolgere i giovani, gli under-35, quelli che sono in età procreativa, già marginalizzati e ora ancor più estromessi dal mercato del lavoro, offrendo loro prospettive di benessere e stabilità, senza le quali difficilmente potranno impegnarsi in un progetto familiare.