Il sindacato preoccupato per le ricadute sull’occupazione già in forte calo

La linea fra lavoro e salute diventa ad ogni giorno più sottile e rischia di spezzarsi da un momento all’altro. Come giustamente ha fatto notare il segretario generale dell’Ugl, Paolo Capone, è necessario bilanciare le due esigenze, considerando che già a giugno si è segnato un meno 841mila posti di lavoro su base annua, per cui è fondamentale tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, senza però perdere di vista il tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese, «spina dorsale dell’economia del Paese». Il sindacato, alla luce di queste considerazioni, è quindi tornato a chiedere un sostegno vero e non soltanto sulla carta, come è spesso successo finora, tenuto conto che molti decreti attuativi previsti dai provvedimenti urgenti, dal Cura Italia in poi, sono rimasti desolatamente sulla carta. È pure evidente, però, che il semplice aiuto fiscale potrebbe non bastare, come pure potrebbe non bastare aggiungere altre diciotto settimane di cassa integrazione. La questione infatti è più ampia ed abbraccia due aspetti oggi poco sentiti dal governo, se non nelle dichiarazioni di principio: vale a dire la capacità delle nostre imprese di restare sui mercati, che in pieno lockdown hanno perso quota molto significative di commesse, soprattutto con l’estero, e la riqualificazione del personale dipendente, altro tallone d’Achille, con l’esecutivo in fortissimo ritardo.