di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

È vero, come dice Francesco Riccardi oggi su Avvenire, che la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese in Italia è rimasta pressoché all’Anno Zero. Nel corso di questi anni la politica, tranne alcune lodevoli eccezioni, non ha rivolto sufficiente attenzione nei confronti di un sistema di relazioni industriali diverso, eppure carico di potenzialità positive, da sempre e ancora di più oggi, nel contesto contemporaneo della globalizzazione. Un modello che avrebbe, invece, meritato maggiori supporti e incentivi. È anche vero il fatto – di cui parla sempre Riccardi – che la scelta di Stellantis di nominare, come rappresentanti dei lavoratori nel CdA della holding dell’automobile nata dalla fusione di Fca e e Psa, due dirigenti scelti unilateralmente dalla proprietà, anziché procedere coinvolgendo i dipendenti, è stata piuttosto deludente. Dopo l’annuncio di qualche tempo fa della stessa Stellantis di voler comprendere nel proprio CdA due rappresentanti dei lavoratori, le aspettative, anche da parte nostra, erano molto alte e invece questa è stata una falsa partenza. Si poteva fare di più per dar vita a un meccanismo propriamente partecipativo. Detto questo, c’è anche da sottolineare, però, il fatto che nell’analisi di Avvenire sul tema della partecipazione e sulle cause della sua mancata attuazione in Italia mancano alcuni elementi. Il primo elemento mancante che salta subito agli occhi – soprattutto, ovviamente, a noi – è l’assenza, fra i promotori della partecipazione nel mondo sindacale citati nella disamina, della nostra sigla: l’Ugl, nata dalla Cisnal. Ovvero l’unica organizzazione sindacale confederale che da sempre, sin dalla propria fondazione nel lontano 1950, ha fatto della battaglia per l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione e per la diffusione della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese la propria bandiera. Una dimenticanza, frutto forse di simpatie o antipatie “ideologiche”, che sminuisce, proprio per questo, il valore dell’analisi. Non solo. Occorre anche dire che a frenare l’avanzata del modello partecipativo sono state spesso e volentieri proprio le maggiori organizzazioni sia datoriali che sindacali, con la successiva conversione della sola Cisl sulla “via di Damasco” della partecipazione. Questo perché, e lo ha chiarito in modo lucido il professor Ichino già diverso tempo fa, il modello partecipativo è per sua stessa natura legato al secondo livello della contrattazione: sono le singole aziende e i relativi lavoratori, e non l’intero settore, ad esserne interessate e a goderne dei benefici, in termini economici e non solo. Troppo libero, troppo indipendente, troppo sganciato dal potere – anche politico – delle centrali confederali. Per questo il modello partecipativo in Italia – finora – non è riuscito, come meriterebbe, a decollare.