di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Il tragico incidente sul lavoro avvenuto ieri nel Cremonese, dove un operaio ha perso la vita travolto da una cisterna, non ci impone solo di esprimere il sentito e partecipe cordoglio del nostro sindacato alla famiglia della vittima. È un fatto, l’ennesimo di una lunga serie, che inevitabilmente deve portarci anche a una serie di riflessioni e conseguenti impegni nel perseguire l’obiettivo di una maggior tutela dei lavoratori italiani. Innanzitutto dobbiamo ricordare che, sulla base dei dati Inail, solo nei primi sette mesi dell’anno in corso, quindi nel periodo che va dal primo gennaio al 31 luglio, gli incidenti con esito mortale avvenuti nel Paese sono stati 716. Moltissimi. Più di quelli registrati nello stesso periodo dello scorso anno: nei primi sette mesi del 2019, gli incidenti mortali erano stati, infatti, 599, il 19,5% in meno rispetto a quest’anno. E ciò nonostante la pandemia, i mesi di chiusura di molte attività produttive e il calo sensibile dell’occupazione. Il dato in aumento si spiega da un lato con le morti da Covid, specie fra gli operatori sanitari, dall’altro con il fatto che le attività rimaste aperte durante il lockdown – quelle essenziali nel settore dell’agricoltura, dell’industria, dei trasporti – sono anche quelle nelle quali sono più frequenti gli incidenti. Lavoratori essenziali, quindi, ma spesso poco tutelati (e retribuiti). Per fronteggiare questa situazione, per fare in modo che si riescano a ridurre sensibilmente infortuni e malattie professionali, continuiamo con forza a chiedere che si insista su una maggiore cultura della sicurezza, quindi rispetto delle leggi, controlli e sanzioni, formazione del personale, soprattutto laddove si è più esposti al rischio di infortuni. Noi dell’UGL continueremo a fare la nostra parte in tutte le sedi, a livello aziendale come nel confronto con le istituzioni, e ripresenteremo ancora – nel rispetto delle normative per garantire il distanziamento sociale – la manifestazione silenziosa #Lavorarepervivere, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno delle cosiddette ‘morti bianche’. C’è poi un altro elemento nell’incidente di Cremona che deve spingerci a riflettere e ad agire di conseguenza: l’età dell’operaio deceduto. Aveva, infatti, 65 anni, un’età da pensione, da meritato riposo, e non adeguata, invece, allo svolgimento di attività lavorative, specie se faticose e pericolose. In questi giorni si parla di non rinnovare Quota 100, una misura che ha consentito a 300 mila lavoratori di andare in pensione favorendo il ricambio generazionale, e di tornare indietro verso la Fornero, ovvero verso un sistema pensionistico incapace da un lato di favorire il necessario turn-over e dall’altro non adeguato a garantire le giuste tutele alle persone in là con gli anni, che, aumenti o meno l’aspettativa di vita, tornino o meno i conti della previdenza, oltre una certa età subiscono gli effetti dell’invecchiamento e non possono essere tenute ad oltranza al lavoro, pena evidenti rischi per la sicurezza, propria e altrui. E questo è un incontrovertibile dato di fatto.