Tonfo del M5s alle urne: pentastellati e governo in fibrillazione. Dopo le elezioni tutti dicono sempre di aver vinto, ma la débâcle grillina è evidente e avrà ripercussioni sull’esecutivo

Netta vittoria dei favorevoli alla riduzione del numero dei parlamentari, tre regioni al centrodestra e tre alla sinistra. Questa l’asciutta descrizione dei risultati elettorali. Poi vengono le interpretazioni, le analisi e le conseguenti strategie. Se il centrodestra può vantare la conquista delle Marche, prima amministrate dagli avversari, arrivando così a un totale di 15 Regioni governate e una percentuale dei consensi nei fatti maggioritaria, se il Pd può affermare di aver tenuto botta, specie rispetto alle disastrose politiche del 2018, mantenendo il feudo toscano, la Puglia e la Campania, i risultati delle urne attestano insindacabilmente una crisi profonda per il Movimento 5 Stelle. La disfatta pentastellata – con percentuali di consensi inferiori al 10% in ogni Regione, l’esclusione dai ballottaggi in pressoché tutte le elezioni comunali, un numero di voti imparagonabile non solo rispetto alle politiche, ma anche alle precedenti amministrative – non è compensata certo dalla vittoria del sì al referendum costituzionale, nonostante il Movimento abbia tentato di intestarsene il successo. E così in casa M5s c’è aria di burrasca. Non solo Di Battista e Fico, ma anche Di Maio, Bonafede, Taverna. Ormai tutti parlano apertamente di crisi e il ruolo del reggente Crimi appare sempre più traballante, in attesa della convocazione dei cosiddetti “Stati Generali”, che qualcuno, come il Presidente della Camera, vorrebbe addirittura “permanenti”. Leadership, organizzazione interna, identità politica, alleanze. I temi oggetto di dibattito – e scontro – all’interno della formazione pentastellata non sono certo secondari. Nel frattempo il Pd, ridimensionato anche Renzi dai risultati deludenti di Italia Viva, sembra rinsaldare la propria posizione e prendere sempre più le redini del governo. L’obiettivo di Zingaretti non è tanto assegnare ai suoi qualche poltrona – Conte rassicura: “Non ci sarà nessun rimpasto” – ma, puntando sul timore delle urne dei grillini, durare fino a fine legislatura e decidere sulle questioni più importanti, dai decreti sicurezza al Mes, dall’elezione del Presidente della Repubblica alla legge elettorale, dettando l’agenda di un esecutivo ormai nei fatti più rosso che giallo. Resta da vedere come la prenderanno deputati e senatori grillini, molti dei quali sarebbero pronti a lasciare il movimento.