di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Pesa l’incapacità di comprendere cosa serve al settore agroalimentare nazionale

In queste settimane, larga parte dell’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata, giustamente, sulla riapertura delle scuole, su come saranno impiegate le risorse del recovery fund e, in misura forse minore, sulle elezioni regionali e il referendum costituzionale. Eppure, vi è almeno un altro argomento che dovrebbe stare a cuore a tutti gli italiani, perché, perdonate il gioco di parole, rappresenta il cuore di tutti gli italiani: il destino delle nostre campagne, del nostro settore agroalimentare, delle nostre produzioni di qualità. Proprio in queste ore, decine di migliaia di nostri connazionali stanno facendo quello che, nel mese di settembre, facevano i loro padri e i loro nonni: la vendemmia, uno dei momenti più suggestivi della vita agreste, insieme alla mietitura del grano e alla raccolta delle olive. Fortunatamente, nonostante le pessime condizioni atmosferiche delle scorse settimane, gli esperti ci fanno sapere che il raccolto è in larga parte salvo, la qualità è ottima, come abbondante sarà la produzione finale di vino. Ma è proprio qui che iniziano i problemi. I nostri produttori – e la cosa vale anche per tutti gli altri prodotti, dai formaggi ai salumi, passando per i dolci – sono in grandissima difficoltà, poiché rischiano di non avere acquirenti. Il solo mercato interno, infatti, non è sufficiente, anche perché le generali condizioni economiche non permettono particolari voli pindarici per la stragrande maggioranza degli italiani. Il crollo del turismo straniero ha inferto un durissimo colpo: mancano milioni di potenziali acquirenti, ben felici di tornare al loro Paese di origine con una bottiglia di limoncello di Sorrento. Neanche il commercio online è capace di sostituire la presenza fisica, soprattutto perché sono proprio le maggiori piattaforme ad alimentare spesso il fenomeno del cosiddetto Italian sounding, vale a dire quelle contraffazioni da quattro soldi, come Parmesan al posto di Parmigiano, capaci però di ingannare milioni di persone nel mondo, causando un danno da miliardi di euro. In un tale scenario, l’impegno del governo, al momento, non è parso all’altezza. Il sostegno al made in Italy si è ridotto, quasi subito, alla previsione di un contributo per le spese legali, mentre si è pensato che la questione occupazionale nell’agricoltura fosse semplicemente un bisogno di manodopera a prezzi contenuti. Del resto, il fallimento della procedura di emersione del lavoro nero in agricoltura è la conferma che, in realtà, serve personale qualificato, preparato, in grado di coniugare tradizione e innovazione digitale. La stessa concessione di terreni alle famiglie numerose è presto finita nel dimenticatoio. Nel frattempo, ci attendiamo molto dalle nostre cooperative della grande distribuzione: possono diventare le Amazon dell’agroalimentare.