Comunità scientifica divisa, l’Oms frena. Ma per la Commissione europea le prime dosi potrebbero essere disponibili già a novembre

Accelera la corsa al vaccino anti-Covid. Con più di 26 milioni di casi di coronavirus registrati nel mondo, a fronte di rialzi che stanno interessando alcuni paesi (in Europa soprattutto Spagna e Francia), sembra essere diventata questione di pochi mesi la risposta alla pandemia. Russia e Cina hanno annunciato da qualche settimana il proprio vaccino – tra i dubbi di parte della comunità scientifica su una completa sperimentazione –, ma uno sprint in questo senso si sta osservando anche negli Stati Uniti e in Europa. In molti, data la situazione emergenziale, ritengono la corsa al vaccino una sorta di “soft power”, una competizione che non esclude nuove tensioni tra paesi durante la fase di distribuzione. Nel caso statunitense, i detrattori di Donald Trump hanno immediatamente etichettato le pressioni sul rilascio di un vaccino a breve come uno spot elettorale in vista delle presidenziali di novembre. Due elementi dimostrerebbero l’infondatezza dell’ipotesi. Il primo, è l’opinione di Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, secondo il quale sarà un «obbligo morale» interrompere i test ancora in corso se le risposte saranno soddisfacenti e passare alla fase di distribuzione (i Center for Disease Control and Prevention hanno stabilito che la priorità sarà data tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre ai lavoratori sanitari e ai gruppi più a rischio, ad esempio gli anziani o i soggetti con malattie pregresse). Il secondo, la decisione della Commissione europea di assicurarsi per novembre la fornitura di almeno 300 milioni di dosi del vaccino Oxford (che coinvolge direttamente l’Italia). Eppure l’Organizzazione mondiale della sanità frena gli entusiasmi: «Non ci aspettiamo di vedere una vaccinazione diffusa fino alla metà del prossimo anno», ha spiegato oggi la portavoce Margaret Harris, in un briefing alla stampa sul coronavirus a Ginevra. Ad ogni modo sono oltre 200, stando proprio all’Oms, i possibili vaccini, mentre cinque sono entrati nella fase tre della sperimentazione clinica (negli Usa e in Europa). Il ministro della Salute, Roberto Speranza, è tornato a sottolineare ieri la necessità di investire, ritenendo il vaccino la soluzione «vera al problema». Nell’attesa, quali soluzioni si sta pensando di adottare? L’attenzione è rivolta soprattutto alla scuola e al lavoro, con il possibile ricorso allo smart working per i genitori con i figli costretti in casa se viene rilevato in classe un caso positivo. Il governo vorrebbe però procedere anche nelle scuole con la sperimentazione dei test rapidi, già utilizzati nelle ultime settimane nei porti e negli aeroporti. Un’idea che, riferiscono alcuni giornali, sembra non convincere del tutto il Comitato tecnico scientifico. La ripartenza della scuola è programmata per il 14 settembre, anche se il ritorno tra i banchi degli studenti non avverrà lo stesso giorno in tutte le regioni.