di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

A prima vista, le dichiarazioni del ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, potrebbero sembrare delle scuse nei confronti delle centinaia di migliaia di lavoratori che hanno ricevuto in ritardo la cassa integrazione. A ben vedere, però, l’esponente democratico scarica tutte le colpe sull’apparato burocratico, autoassolvendosi. Nel caso della cassa integrazione in deroga, è bene ricordare, quando si parla di apparato burocratico, si guarda alle regioni e, poi, all’Inps. Non siamo, però, così sicuri che le cose siano andate esattamente come tenta di raccontare il ministro Gualtieri; del resto, in tempi di social e di comunicazione iper-veloce più che la verità in sé, conta come la si racconta. Proviamo a fare ordine. Alla fine di febbraio, l’Italia è già in piena emergenza pandemica, con una zona rossa estesa ad una decina di comuni lombardi e ad uno veneto. Si inizia a parlare di ammortizzatori sociali. Un paio di settimane dopo, è tutto il Paese che chiude per ordine di Palazzo Chigi che dà il via libera al primo corposo intervento di sostegno al reddito: con il Cura Italia, al datore di lavoro si aprono tre strade tutte con causale Covid-19, la cassa integrazione ordinaria, quella in deroga e l’accesso al fondo integrativo presso l’Inps (o, in alternativa, laddove esistenti, ai fondi di solidarietà bilaterali). In quei giorni, si parla di semplificazione della procedura che appare complessa soprattutto a chi non ha mai fatto ricorso agli ammortizzatori sociali in precedenza. Stranamente, però, tutte le attenzioni si concentrano sull’obbligo di confronto sindacale, quasi ad avvalorare l’idea che, senza questa perdita di tempo, il ministero dell’economia e l’Inps sono in condizione di erogare quanto spettante al lavoratore entro pochi giorni. A questo punto cominciano i problemi. La ministra del lavoro, Nunzia Catalfo, memore di quanto successo al tempo della crisi del 2008-2009, chiama a raccolta le parti sociali e l’Abi. Dopo una lunga maratona notturna, alla fine di marzo Cgil, Cisl, Uil e Ugl sottoscrivono con l’Abi e le associazioni datoriali un protocollo d’intesa per un anticipo bancario della cassa integrazione in deroga: un prestito a tasso zero che il dipendente avrebbe ridato indietro nel momento in cui l’Inps avrebbe provveduto ad erogare l’assegno. L’Ugl, fino ancora alla mezzanotte, era incerta se firmare o meno per una ragione di fondo: senza garanzia dello Stato, le banche non avrebbero mai erogato il prestito. La ministra Catalfo promise che sarebbe intervenuta ed effettivamente nelle bozze che circolarono del decreto Rilancio la garanzia dello Stato era presente, salvo poi sparire nella versione definitiva. Non abbiamo mai saputo ufficialmente quale mano ha cancellato quel comma, anche se gli indizi portano laddove si tengono i cordoni della borsa. Senza garanzia dello Stato, l’anticipo della cassa integrazione è miseramente naufragato, proprio mentre gli uffici dell’Inps sono andati in tilt a causa dell’enorme mole di lavoro, ordinario e straordinario, che il presidente Pasquale Tridico non ha valutato nella sua completezza. Restano le regioni. Durante la discussione del decreto Rilancio, qualche esponente di governo ha provato a scaricare i pesanti ritardi sui governatori, un tentativo miseramente fallito perché, numeri alla mano, l’intoppo si è dimostrato essere, ancora una volta, nei palazzi romani.