Conte al castello da Angela Merkel torna con un nulla di fatto. Tutto e il contrario di tutto: «Noi non vogliamo cedere su nulla, ma alla fine qualche limatura tecnica si farà». La mediazione più difficile? Frugali e alleati

Il tono è sempre più spavaldo. Sull’aereo di Stato di ritorno a Roma, il premier Giuseppe Conte, parla al telefono con il Corriere della Sera in merito al colloquio di un’ora appena terminato, ieri, con la Cancelliera Angeka Merkel, al castello barocco di Meseberg, nel Brandeburgo, in vista del Consiglio Ue che si apre venerdì a Bruxelles:  «Io non voglio cedere su nulla», ha detto il presidente del Consiglio. Secondo Conte la trattativa sul Recovery fund non può essere considerata una discussione «su qualche miliardo in più o in meno», ha detto. «Il negoziato è molto difficile» ma lui non si sente solo: «Ma come fa l’Italia a essere isolata se la storia è dalla nostra parte? È assurdo considerare 22 o 23 Paesi isolati rispetto ad altri». Quindi tutto bene? Figuriamoci. Di sicuro Merkel e Conte sono d’accordo su due punti: bisogna fare presto e trovare un accordo sul Recovery fund da 750 miliardi e che le  risorse destinate ai Paesi Ue vadano reperite attraverso  obbligazioni garantite dal bilancio Ue, sorta di eurobond ai quali la Cancelliera per lungo tempo è stata contraria. Quello su cui non sono d’accordo sono i termini del compromesso che si dovrà necessariamente raggiungere, chissà se entro questa settimana (molto improbabile). Merkel ha mostrato verso l’Italia e gli italiani comprensione umana e politica, ha apprezzato lo sforzo compiuto nella difficile fase del lockdown, ma ha detto anche che l’Italia a qualcosa dovrà pur rinunciare per arrivare ad un compromesso. I Paesi del Nord – Olanda, Austria, Svezia e Danimarca – non ne vogliono sapere di concedere l’intero tesoretto di 750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto, senza una contropartita di riforme (pesanti) da realizzare. Il problema però è che il piano su cui la Merkel sta ragionando, quello preparato da presidente del Consiglio europeo Charles Michel, non piace all’Italia. In particolare per quel che riguarda il potere di controllo per l’uso dei fondi spostato dalla Commissione Ue a quello dei capi di Stato e di governo, i quali con votazione a maggioranza valuteranno la conformità dei piani nazionali con le priorità Ue, potendo anche  chiedere l’erogazione dei fondi di fronte a precisi parametri, come ad esempio la riforma della giustizia e la protezione per i lavoratori, lotta all’evasione e riforma pensionistica. Conte ha spiegato che «l’Italia accetta che vi sia un monitoraggio» sulla qualità della spesa, ma non ad essere giudicata dal Consiglio europeo. Per arrivare ad un compromesso è visto come probabile anche un ritocco alla ripartizione dei fondi, ad oggi 500 miliardi a fondo perduto e 250 di prestiti. Ricordiamo che l’Italia sarebbe il beneficiario maggiore con 172,7 miliardi, di cui 81,8 miliardi di sovvenzioni e 90,9 di prestiti. Insomma, per Conte è stata più che altro una bella gita al castello.