Urge un nuovo patriottismo sociale
di Mario Bozzi Sentieri

Torna il sentimento patriottico? A vedere certi spot televisivi si direbbe di sì. Vince il Tricolore che fa da sfondo alla pubblicità, innalzando il prodotto da mero oggetto di consumo a simbolo di coesione nazionale. Il carrello della spesa è patriottico. Perfino quello delle Coop, che ora dicono di vendere ed invitano a consumare rigorosamente italiano. E con loro le Ferrovie impegnate a “collegare le passioni e i legami, pronte più che mai a sostenere il Paese”. E’ caparbia, innovativa e solidale l’Italia immaginata per propagandare il BTP Futura (che però ha chiuso la sottoscrizione poco sopra i sei miliardi di Euro contro una domanda stimata in circa dieci miliardi). Vince la spesa patriottica, la filiera breve ed il “made in Italy”. Fanno tendenza le bellezze artistiche e paesaggistiche del Paese: “E’ il momento di ripartire verso regioni da scoprire e città da visitare; verso persone da incontrare e culture da conoscere; uniti in un unico grande viaggio #InsiemeRipartiremo” – dice lo slogan. Anche i “Mastri Pastai” si mobilitano: “ciò che conta è la forza di guardare avanti”. E tanto basta. “Riusciremo a rialzarci insieme” – afferma la pubblicità dello shampoo. Mentre l’Assicurazione garantisce: “Saremo al vostro fianco, in ogni tappa, sempre”. In questi casi – come ci dicono i manuali – la pubblicità “asseconda” più che “orientare”. Dilaga nel Paese una domanda patriottica, che trova negli spot una rappresentazione compiuta, solenne, retorica. La Nazione entra prepotentemente nell’immaginario collettivo. Per questo viene celebrata e declinata su più piani. Ne siamo lieti ed anche incuriositi. Con un dubbio di fondo però: fino a quando gli spot patriottici riusciranno nel loro intento rassicurante? E che cosa accadrà quando la realtà, la dura realtà post pandemica, soffocherà le aspettative? Il patriottismo è una cosa seria. È Storia e passioni. Sentimenti e sfida futura. Non può essere solo uno sventolare di bandiere. È solidarietà autentica, mobilitazione e coesione sociale. È capacità di intervento attraverso politiche pubbliche finalizzate a garantire pari opportunità e a prevenire fenomeni di esclusione sociale. Intesa in questo modo la coesione nazionale si sostanzia nei diritti che lo Stato riconosce ed aiuta a realizzare, quali il diritto al lavoro e ad un reddito per la propria famiglia, il diritto a votare e a partecipare alle scelte che riguardano la comunità, il diritto a dare un’istruzione ai propri figli, il diritto alla sicurezza e alla salute. Fuor di retorica a quante di queste aspettative riesce a rispondere in modo adeguato l’attuale Sistema? E – di fronte alle carenze dell’odierno momento politico – fino a quando il mantra dell’Era Covid19, “Andrà tutto bene”, riuscirà a lenire le ferite aperte dalla crisi economica e sociale? Perfino la ministro Lamorgese ha paventato un “autunno caldo”, segno – sono sue parole – della difficoltà dei cittadini a provvedere ai propri bisogni. A serpeggiare – come ha notato il Censis in un recente studio – è la paura ed il pessimismo: ben il 67,8% degli italiani ha paura per la situazione economica familiare, paura radicata nei territori e trasversale ai diversi gruppi sociali. La percentuale sale al 72% tra i millennials e le donne, sfiora il 75% nel Sud, supera il 76% tra gli imprenditori e arriva all’82,6% tra le persone con i redditi più bassi. A battere all’uscio degli italiani sono la povertà, l’emergenza abitativa, la disoccupazione, la precarietà giovanile. La lista delle emergenze è lunga, segno di quanto gravi siano le quotidiane esigenze degli italiani, messi ai margini del contesto sociale, spesso costretti a livelli esistenziali di mera sopravvivenza, sviliti nella loro umanità. È un “sistema” (economico e non solo, fatto com’è di relazioni sociali e di tutele) che va ripensato, riportando al centro – ben al di là degli slogan ad effetto – il valore nazionale insieme a quello dell’etica collettiva e quindi di un’autentica socialità, rispetto a cui riordinare priorità, risorse, interventi. Dopo la stagione degli annunci e delle promesse, c’è bisogno di mirati piani d’azione (piano giovani, piano casa, piano povertà, piano famiglia), che fissino scadenze, che, preso atto delle diverse emergenze, indirizzino le risorse in modo chiaro, che fissino priorità. C’è bisogno di una mobilitazione generale dell’intero Paese, consapevoli che in gioco ci sono i più vasti destini nazionali, oltre che quelli economici e sociali di una parte. E qui il cerchio si chiude. Nella misura in cui la Nazione, oggi finalmente “ritrovata” nell’immaginario collettivo, è quella che al di sopra delle contingenze esprime una solidarietà, solo una rinnovata coesione sociale potrà dare sostanza all’idea di Nazione. Non basta insomma qualche spot a confortare quanti pagano la crisi, sanitaria e non solo, sulla propria pelle. Né sono sufficienti gli annunci per passare dalle aspettative alle risposte concrete. Ci vuole ben altro. A cominciare da un patriottismo che solo se declinato a livello sociale potrà rispondere alle domande del Paese reale, imboccando la strada della Rinascita.