Il ricorso allo smartworking di massa e forzato di oltre 400 mila dipendenti – messo in campo per limitare i contagi da coronavirus durante le varie fasi di lockdown – è un errore e un danno per l’economia diffusa. A dirlo è stato il Presidente della Confesercenti di Roma e del Lazio, Valter Giammaria, secondo cui il lavoro agile forzato «poteva essere tollerato nel momento del cosiddetto lockdown, ma ora sta diventando un boomerang lanciato contro i servizi, che non vengono più assicurati come prima del blocco e un danno per l’intera economia». Secondo l’associazione di categoria sarebbero a rischio chiusura circa seimila imprese. In particolare, secondo Confesercenti, la mancata spesa nel tessuto commerciale turistico e dei servizi solo nella città di Roma è di oltre 130 milioni al mese. Se questa situazione dovesse perdurare fino al mese di dicembre il fatturato che verrebbe a mancare equivale a circa 6000 piccole attività. Bar, ristoranti e negozi, che sarebbero costretti a chiudere per il venir meno del fatturato. «Un numero – spiega Giammaria – che sommato alle cinquemila attività già chiuse da inizio anno, darebbe un saldo di undicimila attività cessate nel corso del 2020. Secondo Confesercenti lo smartworking dovrebbe infatti essere articolato «su basi contrattuali diverse, con strumenti e organizzazione del lavoro proprie e presuppone la digitalizzazione di migliaia di adempimenti che ancora oggi si realizzano manualmente e direttamente presso le sedi preposte».