L’eredità della pandemia. Soro, Presidente Autorità Garante della Privacy: «Potrebbe ragionevolmente divenire una forma diffusa, effettivamente alternativa, di organizzazione del lavoro»

C’è chi ne è entusiasta e chi meno. Stiamo parlando dello Smart Working o Lavoro Agile, l’effetto collaterale più innovativo che la pandemia da Covid-19 ha lasciato ad un mondo del lavoro, recalcitrante, fino al lockdown, ad aderire a nuovi modelli organizzativi. Prima di tutto, non si possono fare i conti senza l’oste: per una solida affermazione del lavoro agile occorre accelerare lo sviluppo della banda ultra-larga su tutto il territorio italiano e sul versante delle imprese accelerare il processo già in atto, ma lento, di digitalizzazione, in particolare nelle Pmi. Ciò significa introdurre i più moderni strumenti tecnologici e organizzare digitalmente il lavoro. Ma non è solo il settore privato quello ad essere il più interessato. Nella Pubblica Amministrazione, secondo gli obiettivi dichiarati dalla ministra della Funzione pubblica, Fabiana Dadone, a regime, almeno il 50% delle attività svolte dalla Pubblica amministrazione saranno rese attraverso il lavoro agile, ma diversi problemi si pongono sul cammino di questa innovazione. Sia in termini di organizzazione cioè di obiettivi da affidare ai dipendenti in lavoro agile, fatto di non poco conto visto che il lockdown ha evidenziato ancora di più la presenza nello Stato di personale poco utilizzabile o in eccedenza soprattutto a causa della scarsa formazione, sia in termini di digitalizzazione, materia in cui lo Stato “vanta” molti ritardi. In termini di genere, poi, i divari sembrerebbero essere aumentati: secondo il sondaggio online promosso dalla Fondazione Libellula, organismo che riunisce un network di oltre 30 aziende italiane impegnate nella lotta alla discriminazione e alla violenza di genere, sono state sempre le donne durante il lockdown a occuparsi dei figli, mentre gli uomini si sono dichiarati soprattutto dediti al lavoro (83,9%). Ci sono anche aspetti normativi da considerare. Secondo il Dipartimento innovazioni tecnologiche, sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (Dit) dell’Inail, la forma del lavoro a distanza, svolta durante il periodo di emergenza, può essere definita un modello ibrido tra il lavoro agile e il tele lavoro. Questa particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa adottata per fronteggiare l’epidemia, per molte attività lavorative pubbliche e private, anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla legge, ha coinvolto una platea di lavoratori e di professionalità molto ampia, superando il vincolo della concessione della strumentazione tecnologica e informatica fornita dal datore di lavoro. Secondo l’Inail il lavoro agile può essere adesso oggetto di riflessioni più approfondite per un ripensamento del lavoro in uno scenario nuovo, tenendo conto dei contesti produttivi e dello sviluppo tecnologico.