di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Finalmente, anche se a causa del Covid, lo smartworking ha preso piede anche in Italia. Ora dobbiamo fare in modo che sia utile a rendere più agevole la vita lavorativa, a conciliare gli impegni privati e quelli professionali, senza perdere però il contatto con i colleghi e l’azienda

La novità – nel nostro Paese prima della pandemia lavorava in modalità agile una percentuale irrisoria di lavoratori – è interessante. Lo smartworking è stato essenziale per consentire il proseguimento delle attività anche durante la “fase uno” a molte imprese private ed enti pubblici, quelli, naturalmente, che si occupano settori nei quali la presenza fisica dei dipendenti nei locali aziendali non è indispensabile. Scoperto dalla gran parte dei lavoratori e dei datori solo a causa del coronavirus, ora il lavoro agile è entrato a far parte della nostra quotidianità. Prima era visto con sospetto, non solo dagli imprenditori e dai dirigenti, ma anche dai lavoratori e persino da alcuni sindacati, a causa dei possibili rischi legati alla lontananza dal luogo di lavoro. Eppure lo smartworking ha grandi potenzialità, in termini di modernizzazione dell’organizzazione del lavoro, efficientamento dei costi per le imprese, migliore conciliazione vita-lavoro per i dipendenti, “vita delle città” più agevole. Non vanno nascoste, però, le criticità. Va evitato un eccessivo isolamento, che potrebbe determinare conseguenze negative in termini di carriera, relazioni, anche sindacali, coi colleghi, minore inclusione sociale, spopolamento dei centri cittadini. Vanno messi dei paletti che garantiscano meglio il lavoratore, i suoi spazi di reperibilità, la gestione dei mezzi tecnici necessari al lavoro da remoto. Vanno potenziate le infrastrutture per rendere veloci e sicuri i collegamenti via web. L’ideale è una formula intermedia che preveda anche la presenza in ufficio, intervallando giornate in modalità agile e tradizionale. In questo modo si riescono a cogliere le potenzialità dello smartworking, senza dover rinunciare agli aspetti positivi del lavoro in sede.