di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Nei primi tre mesi del 2020, con l’inizio della pandemia, il reddito delle famiglie è sceso dell’1,6%, i consumi si sono contratti del 6,4%, il potere d’acquisto è diminuito dell’1,7%. Nello stesso lasso di tempo, la pressione fiscale è cresciuta dello 0,5%, arrivando al 37,1%. Questi pochi dati sui conti pubblici – diffusi dall’Istat – rendono l’idea di quali siano i problemi che ci troviamo ad affrontare e di cosa fare e soprattutto cosa non fare per cercare di risolverli. Anche perché il primo trimestre dell’anno non coincide con il “picco”, per usare un termine in voga, della crisi economica determinata dal Covid, ma è solo il suo preludio. La Fase 1, il lockdown vero e proprio, è scattato, infatti, i primi di marzo, alla fine del periodo considerato dall’Istituto di Statistica, e sarà importante valutare i dati relativi ai trimestri successivi, a crisi conclamata. Sappiamo di trovarci di fronte, a detta di tutti, della peggior crisi economica dal dopoguerra. Più grave persino di quella del 2008. Se già allora, ai tempi della crisi dei derivati e poi dei debiti sovrani, le politiche di austerity – ossia tagli e tasse – si sono rivelate sbagliate dal punto di vista sociale e controproducenti da quello economico, figuriamoci ora. Bisognerebbe fare tutto l’opposto iniziando da una consistente riforma fiscale, per tagliare le tasse a imprese e lavoratori, senza dimenticare il varo di un piano industriale di medio e lungo periodo, che preveda investimenti ad alto moltiplicatore del Pil e la semplificazione burocratica. Le famose politiche espansive. Con un occhio di riguardo nei confronti dei settori più penalizzati dalla pandemia, turismo e ristorazione, importanti sia dal punto di vista economico che occupazionale, e con il rilancio delle opere infrastrutturali, sbloccando settori gli oltre 700 cantieri ancora fermi. Al di là degli annunci e delle “passerelle” di tutto questo non c’è traccia, tantomeno di interventi, nazionali o europei, dalla “potenza di fuoco” come garantito spesso e a sproposito. Di fronte a tutto ciò la preoccupazione per le sorti del Paese non può che aumentare. Come ribadito in più occasioni, e anche oggi in un’intervista a Il Tempo, al momento, arrivati alla cosiddetta Fase 3, non ci sono che promesse. Ma i numeri non cambiano con gli annunci e sono drammatici. Il Fondo Monetario Internazionale prevede per l’Italia un crollo del Pil al -12,8% e un balzo del debito pubblico del 166,1%. Non è con le misure finora prese che si può pensare di risollevare il Paese da una crisi che al momento ha messo al tappeto la nostra economia e che rischia, se non affrontata adeguatamente e tempestivamente, di minare alle basi la nostra coesione sociale. Noi dell’Ugl siamo pronti a dare il nostro contributo, ma dall’altra parte serve un governo pronto ad ascoltare i bisogni dei cittadini e a rispondere con atti concreti.