di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Come sappiamo ancora oggi in Italia una piena inclusione delle donne, con pari opportunità, nel mondo del lavoro non è stata raggiunta. Esistono ancora forti squilibri tra i lavoratori dei due sessi in termini di quantità e qualità dell’occupazione, retribuzione, carriera e quindi prospettive pensionistiche. Sono diverse le cause che determinano questa situazione, ma, fra queste, c’è soprattutto un fattore: il peso degli oneri di cura dei familiari, che ricade in gran parte sulle donne e che non è, in aggiunta, adeguatamente supportato da servizi all’altezza delle esigenze delle famiglie. Non solo: i salari molte volte troppo bassi, per molti lavoratori e molte lavoratrici rendono antieconomico scegliere di ricorrere all’aiuto di privati per i compiti di cura e di assistenza. Se, ad esempio, un nido privato o una baby sitter costano troppo rispetto allo stipendio di uno dei due coniugi, allora meglio stare a casa e occuparsi personalmente dei figli. E di nuovo a fare questa scelta sono spessissimo, se non sempre, le donne, per motivi culturali o spesso, più prosaicamente, per ragioni economiche: si sacrifica il lavoro di chi, all’interno della coppia, guadagna di meno, quindi, di nuovo, le donne. Ne ha parlato oggi la Stampa con un focus sui dati Inl sulle dimissioni delle lavoratrici alla nascita di un figlio. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha infatti diffuso i dati sulle dimissioni volontarie delle neomamme (e dei neopoapà) nel 2019. Sono state 37.611 le donne che hanno abbandonato il lavoro dopo la nascita di un figlio, il 5% in più rispetto all’anno precedente. 13.947 i padri. Il motivo, sempre lo stesso: la difficoltà di conciliare il lavoro e la famiglia. Spesso le lavoratrici madri hanno cercato di risolvere il dilemma con la richiesta di part-time, accolta però solo nel 21% dei casi. Insomma si tratta di un problema non da poco, che incide sul benessere delle singole famiglie e su quello del Paese nel complesso. Con l’altra faccia della medaglia: la denatalità. A volte si rinuncia del tutto ad avere figli, non sentendosi adeguatamente supportati dalla società, dallo Stato, dal mondo del lavoro. Si può cercare e si è cercato di affrontare il problema in vari modi, ma finora in Italia i risultati sono stati insoddisfacenti. Primo essenziale passo sarebbe quello di potenziare il welfare, sempre messo in coda nella lista degli investimenti da fare. Creare un contesto adeguato in termini di servizi di assistenza, trasporti, orari delle città. Promuovere un’organizzazione del lavoro meno rigida, più orientata a una flessibilità buona, più imperniata sui risultati raggiunti che sull’orario trascorso al lavoro. Non è semplice risolvere la questione, soprattutto nei settori a minore valore aggiunto. Una grande mano potrebbe darla lo smartworking, la novità dell’anno nel mondo del lavoro italiano, una modalità introdotta in modo massiccio causa pandemia, ma che auspicabilmente dovrebbe diventare stabile e diffusa, poiché consente ai lavoratori che ne possono usufruire – donne e uomini – una maggiore conciliazione fra vita professionale e privata e lascia maggiori spazi e tempi, nei servizi ad esempio, a chi invece lavora in settori nei quali non è possibile operare da remoto.